domenica 30 novembre 2008

Memoria, oh memoria


Tra i cinque sensi l'olfatto è considerato il senso della gioia di vivere.

Cassetti profumati, erbe essiccate, sacchettini di lavanda, il profumo del pane in forno o di una torta, la chimica di un dopobarba, l'odore salmastro del mare , quello inebriante del tiglio in fiore ...

È una memoria nella nostra vita, quella che forse, più della scrittura, ci permette di conservare il passato.

Anche se siamo distratti o preoccupati, un odore può raggiungerci e farci ritornare indietro, dentro quel passato che è pronto a riemergere se solo lasciamo socchiusa la porta.


Platone nel Fedro racconta il mito sull'invenzione della scrittura da parte del dio egiziano Theuth e sul dono di essa, destinato agli uomini che Theuth fa al faraone.

Qui cito Giorgio Colli riprendendo le seguenti frasi da "La nascita della Filosofia":

"Theuth magnifica i pregi della sua invenzione, ma il faraone ribatte che la scrittura è sì uno strumento di rammemorazione, ma puramente estrinseco, e che persino rispetto alla memoria, intesa come capacità interiore, la scrittura risulterà dannosa.

Quanto alla sapienza, la scrittura la fornirà apparente, non già veritiera.

E Platone commenta il mito accusando di ingenuità chiunque pensi di tramandare per iscritto una conoscenza e un'arte, quasi che i caratteri della scrittura avessero la capacità di produrre qualcosa di solido. Si può credere che gli scritti siano animati dal pensiero: ma se qualcuno rivolge loro la parola per chiarire il loro significato, essi esprimeranno sempre una cosa sola, sempre la stessa."

E ancora:

"Platone contesta in linea generale alla scrittura la possibilità di esprimere un pensiero serio e dice letteralmente:

'nessuno uomo di senno oserà affidare i suoi pensieri filosofici ai discorsi immobili, com'è il caso di quelli scritti con lettere'.

Ancora più solennemente ribadisce poco oltre, ricorrendo ad una citazione omerica: "Perciò appunto ogni persona seria si guarda bene dallo scrivere di cose serie per non esporle alla malevolenza e alla incomprensione degli uomini. ..."

Come dire, quindi che le cose più serie riposano nella parte più bella dell'essere umano.



Le parti tra virgolette provengono da La Nascita della Filosofia di Giorgio Colli - Piccola Biblioteca 29 - ADELPHI - pagine 111 - 112.

sabato 29 novembre 2008

Il berretto a sonagli

Il giullare andava nel giardino:
il giardino era immoto;
ordinò all'anima sua di levarsi
e posarsi sul verone dell'amata.


L'anima si levò in semplice veste azzurrina,
mentre i gufi lanciavano richiami:
l'avea resa sapiente il pensiero
di un passo quieto e leggero.


Ma la giovane regina non voleva ascoltarla;
si alzò con la sua chiara camicia;
tirò a sé i pesanti sportelli
e abbassò i saliscendi.


Egli ordinò al suo cuore di andare da lei,
quando i gufi cessarono i richiami;
in rossa veste palpitante
il cuore cantò per lei alla porta.

L'avea reso soave il sognare
di una chioma come un fiore fluttuante;
ma ella prese il ventaglio dal tavolo
e col suo alito lo allontanò per l'aria.


"Ho il berretto a sonagli" ei pensò,
"lo mando da lei e muoio";
e all'imbiancar del mattino
lo lasciò dove sarebbe passata.


La regina se lo pose sul seno,
sotto la nube dei capelli,
e le sue rosse labbra gli cantarono d'amore
finché le stelle emersero dall'aria.


Ella dischiuse porta e finestra
e il cuore e l'anima entrarono,
alla sua destra venne quello rosso,
alla sinistra venne l'azzurra.


Facevano un rumore di grilli,
un chiacchiericcio sapiente e soave
e i capelli erano un fiore rinchiuso,
e nei piedi la quiete d'amore.

William Butler Yeats

venerdì 28 novembre 2008


Nel 1867 Ibsen pubblica Peer Gynt, dramma in cinque atti.

E' una fantasia su temi popolari norvegesi, da cui Ibsen sperava il riconoscimento come poeta nazionale.

Peer Gynt è un giovanotto spaccone che passa da una avventura all'altra.

Non si cura delle virtù quotidiane e dei semplici doni della vita, segue solo l'imperativo "Sii te stesso"

Ma questa aspirazione lo porta a vivere in un mondo dove fantasia e realtà finiscono per confondersi: Peer per molti anni sembra solo illudere sé stesso e gli altri.

Solo la madre Aase, figura dominante della sua vita, riesce a seguirlo nel suo mondo fantasioso.

Gli episodi principali del dramma tracciano un quadro simbolico dell'esistenza di Peer:


Peer che, adulto, gioca con la madre come un bambino; Peer che rapisce Ingrid alla vigilia delle nozze e l'abbandona subito; Peer che fugge dal villaggio natìo e si imbatte nella figlia del Vecchio di Dovre, il re dei troll (o trold) cioè gli spiriti delle foreste.

La principessa vuole sposare Peer e lo porta nel mondo dei troll dove Peer, allettato dal potere dagli onori e dalle ricchezze, sta per accettare di diventare un troll.

Ma ci ripensa e riesce a fuggire. La madre muore tra le sue braccia, e Peer inizia a vagabondare per tutta la terra, rifiutando anche l'amore sincero che gli offre la dolce Solvejg.

I suoi viaggi lo portano nei paesi più lontani, affronta le più diverse esperienze, incontra personaggi misteriosi e dal significato simbolico, come «il fonditore di bottoni» (cioè il moralista che lo condanna).

Alla fine Peer ritorna in patria, giunto all'ultima parte della sua vita.

Il Vecchio di Dovre gli dice che ha vissuto da troll, non da essere umano.

Peer ha un rifugio: Solvejg ormai vecchia, lo ama ancora e lo ha sempre atteso, fedele. Accanto a lei, che lo culla teneramente e gli canta una dolcissima nenia, Peer muore sereno.

State attenti




State attenti: la nave ormai è in mano al cuoco di bordo, e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quel che si mangerà domani.


Stadi sul cammino della vita - Søren Kierkegaard -

giovedì 27 novembre 2008

RIVOLTE IN EUROPA PER LA CRISI - ISLANDA, SVIZZERA







Trovo queste informazioni, ovviamente celate al pubblico italiano, sulla redazione di Alba Magica e altri network liberi




( http://blogchefare.splinder.com)

"ISLANDA. Migliaia di islandesi hanno dimostrato per le strade di
Reykjavik reclamando le dimissioni del primo ministro Geir Haarde e
del governatore della Banca Centrale David Oddsson, ritenuti
colpevoli del disastro finanziario del Paese.
Le manifestazioni avvengono da giorni, con scontri con la polizia. La folla ha eletto
come capo un noto cantante-trovatore (trobadour) islandese, Hordur Torfason;

Torfason ha annunciato che le dimostrazioni continueranno
finchè il governo non se ne andrà.

"Non hanno la nostra fiducia e non sono più legittimati" Torfason così ha detto mentre le folle si radunavano davanti al parlamento islandese, l'Althing.

Vi ha apposto un cartello: 'Islanda in Vendita, 2,1 miliardi di dollari'.

Quello che il Paese riceve come prestito d'emergenza dal Fondo Monetario.

Tutti i prezzi sono aumentati di colpo del 30%, i disoccupati aumentano di giorno in giorno.

Reuters, 22 novembre 2008"

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"Svizzera. Raccolte centomila firme per un referendum popolare
contro i banchieri per bloccare le liquidazioni d'oro dei dirigenti
e perchè i loro stipendi siano sotto controllo pubblico, i 'bonus'
che intascano dovranno essere in rapporto ai risultati raggiunti
L'uomo che ha raccolto le firme per il referendum è un piccolo e
prospero imprenditore fino ad oggi sconosciuto, Thomas
Minder. 'Tutta la porcata dei sub-prime è un'invenzione americana,
eppure una banca svizzera ci è cascata', ha detto indignato.

Preso di mira Ospel - dimissionario - il capo supremo della UBS
(una della maggiori banche svizzere), perchè riveli quanto s'era
pagato col suo ultimo bonus, che dicono principesco (si parla di 15
milioni di dollari); lui s'è rifiutato; uno degli azionisti, o
meglio dei manifestanti, è salito sul palco e gli ha
gridato: 'Ricaccia il bonus'.
Ospel quindi ha tirato fuori dalla
tasca due autentici würstel elvetici e glieli ha fatto ciondolare
sotto il naso: "Non ti voglio affamare, ti ho portato qualcosa da
mangiare".
BBCE News, 22 novembre 2008"

Il settimo sigillo



"Lo ricorderò, questo momento: il silenzio del crepuscolo, il profumo delle fragole, la ciotola del latte, i vostri visi colti nel momento in cui discende la sera, Michael che dorme sul carro, Jof e la sua lira...cercherò di ricordarmi quello che abbiamo detto e porterò con me questo ricordo delicatamente, come se fosse una coppa di latte appena munto che non si può versare.
E sarà per me un conforto, qualcosa in cui credere."

(Il settimo sigillo)

mercoledì 26 novembre 2008

Lanterna magica

A Uppsala, nasce il 14 Luglio 1918, Ingmar Bergman.

Figlio di un pastore protestante, con cui si troverà spesso a confrontarsi e che ricorrerà di frequente nel corso della sua opera, percorsa di continuo da riferimenti autobiografici.

« In realtà io vivo continuamente nella mia infanzia: giro negli appartamenti nella penombra, passeggio per le vie silenziose di Uppsala, e mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l'enorme betulla a due tronchi, mi sposto con la velocità a secondi, e abito sempre nel mio sogno: di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà »

Bergman trascorse la prima infanzia seguendo gli spostamenti del padre nelle case parrocchiali di vari paesini e fu educato secondo i concetti luterani di " peccato, punizione, perdono e grazia, temi che saranno poi ricorrenti nei suoi film. Il padre, cappellano all'ospedale di Uppsala, poi parroco alla Hedvig-Eleonora di Stoccolma e infine prelato presso la Corte, pur essendo un eccellente predicatore aveva un temperamento, come scriverà Bergman nella sua biografia, irritabile:
"Non potevamo fischiare, non potevamo camminare con le mani in tasca. Improvvisamente decideva di provarci una lezione e chi s'impappinava veniva punito. Soffriva molto per il suo udito eccessivamente sensibile, i rumori lo esasperavano"
Egli impartì al figlio una educazione molto severa le cui tracce si riscontreranno spesso nei suoi film; la figura del padre sarà portata sullo schermo in tre film, Fanny e Alexander (1982), Con le migliori intenzioni (1992) e Conversazioni Private (1996).
La madre aveva un eccessivo carico di lavoro , era tesissima, non riusciva a dormire, faceva uso di forti sedativi che avevano effetti collaterali quali l'irrequietezza e l'ansia.
Ingmar, aveva un fratello maggiore di quattro anni che tenterà più tardi il suicidio e che si trasferirà a Uppsala, e una sorella minore di quattro anni.

"La famiglia aveva una benefattrice arciricca di nome zia Anna. Ci invitava a feste per bambini con giochi di prestigio e altri divertimenti, a Natale faceva sempre regali costosi e intensamente desiderati e ogni primavera ci portava alla prima del circo Schumann, al Djurgarden. L'avvenimento mi metteva in uno stato di febbrile eccitazione: Il tragitto in automobile con l'autista in uniforme della zia Anna, l'ingresso nell'norme edificio di legno splendidamente illuminato, i profumi misteriosi, l'ampio cappello della zia, l'orchestra fragorosa, la magia dei preparativi, il ruggito delle belve dietro le tende rosse da cui uscivano i cavallerizzi." ..

I brani autobiografici riportati sono contenuti nel libro "La Lanterna magica" - autobiografia di Ingmar Bergman - Edizione CDE spa -Milano su licenza della Garzanti Editore

La Norvegia e la penisola scandinava

Da Oslo, ai maestosi paesaggi dei fiordi, all'isola di Runde. Dal superamento del circolo polare artico, all'isola di Rost coi suoi molteplici uccelli, alle Lofoten, poi alle bellissime Vesteralen, fino ad Andenes, dove il sole di mezzanotte dà magnifica espressione di sè, assieme alla visione in mare di maestosi capodogli.

Il viaggio continua sulla grande rotta automobilistica E6 verso i graffiti di Alta, fino a Capo Nord, tra maestosi paesaggi e cambiamenti repentini di tempo.
Ultima conquista: il Varanger, quella parte estrema verso la Lapponia, dove il turismo si arresta e l'ambiente, selvaggio ed estremo, accoglie grandi colonie di uccelli. Alcuni preziosi posti da non perdere per la loro bellezza: il paesaggio lunare di Hammingberg e l' isola di Hornoya così ricca di avifauna.
Rientro attraverso i grandi spazi verdi della Finlandia e visita alle cascate di Kiutakongas, all'interno del parco di Oulanka.

Infine due grandi capitali del nord, Stoccolma, in Svezia, e Copenaghen, in Danimarca, chiudono ufficialmente il viaggio. Tutto ciò che segue è solo tanta autostrada che, attraverso la Germania, riconduce in Italia. (Estate 1998)
Dal sito di Andrea Vellani, ricco di fotografie stupende.

La Scandinavia (che ha origine dal nome della Dea Nordica Skadi anticamente considerata la protettrice dell'inverno, della neve e della caccia) è la regione del nord Europa che comprende la Penisola Scandinava, quella dello Jutland e le isole circostanti.

È composta, pertanto, da Norvegia, Svezia e Danimarca: questi tre paesi si riconoscono reciprocamente come paesi scandinavi, e il termine viene usato per identificare i forti legami storici, culturali, linguistici che li legano.

A 90km a nord di Stoccolma, Uppsala : è la quarta maggiore città svedese con circa 200mila abitanti. Vi troviamo la più grande chiesa della Scandinavia (capacità di duemila persone), la cattedrale gotica Domkzrkan, inaugurata nel 1435, che con le sue torri alte 118 metri.

Di fronte alla chiesa c'è il Gustavianum Museum dove il medico Rudbeck effettuava le dissezioni nel teatro anatomico.

Il museo è attualmente diviso in tre sezioni, una dedicata alla storia egizia, una a quella mediterranea ed una alla storia medioevale svedese. All'epoca venne costruito con funzioni di arcivescovado, in seguito venne adibito ad università.
Facendo il giro di questo edificio ci si trova nel parco dell'università dove si trovano altre pietre runiche.

Da visitare:

la biblioteca Carolina Rediviva (che mantiene il nome italiano a sottolineare un senso di rinascita). Ospita la biblioteca dell'Università, ricca di oltre 5 milioni di volumi e di 3500 metri di manoscritti.
Una curiosità, la biblioteca custodisce il Codex Argenteus del sesto secolo, scritto con inchiostro d'argento su pergamena color porpora. Subito sopra la biblioteca troviamo il castello;

il Castello di Uppsala, edificato per volontà di re Gustav Vasa nella metà del 1500 ha subito diverse trasformazioni, assumendo la connotazione attuale nel 1757. E’ sede del governatore ed ospita l'Uppsala Art Museum, la collezione d'arte dell'Università;

il Linnaeus Garden and Museum, giardino e museo dove il grande botanico Linneo ha iniziato la classificazione della flora e dei fiori del mondo.
“Gamla Uppsala” (vecchia Uppsala), a 4 km a nord della città, ci si arriva con il bus (si tratta appunto della vecchia città, centro religioso e politico dei vichinghi. Qui si possono ammirare tumuli funerari dei sovrani di quel popolo. Ci sono in particolare tre grandi tumuli funebri ed àè molto interessante leggere la storia delle divinità nordiche. Si dice che in antichità a Gamla Uppsala ci fosse un tempio pagano dove si compivano sacrifici animali e umani a Wotan (Odino), Thor (Thor) e Frikko (Frey), ma è probabile che sia stata solo un'invenzione per accellerare la cristianizzazione;

Il Castello di Wik, una delle strutture medievali meglio conservate in Svezia. Costruito nel XV secolo, subì in seguito numerosi lavori di modernizzazione interna. Il tetto e l'interno barocco della Sala dei Cavalieri sono dovuti a F. V. Scholander che li realizzò nel 1860

Curiosità: i film sia in TV che al cinema sono sempre in lingua originale con sottotitoli in svedese (tranne casi particolari in cui vengono doppiati, per esempio cartoni ed altri film per bambini).

Gli sport nazionali sono il football, l'hockey su ghiaccio, il tennis, lo sci e il golf.

Il diritto di accesso alla natura è molto ampio: è possibile attraversare il terreno di altre persone (se non coltivato) e persino installarvi una tenda per una notte (per più notti è obbligatorio il permesso).

Ilulissat, la baia degli icebergs



Ilulissat è il regno degli iceberg, immensi e di varia forma che si spezzano in mare, navigano, si capovolgono nel fiordo che produce piú iceberg al mondo, é uno spettacolo della natura unico al mondo.
Lungo la costa si trovano vari villaggi, ognuno con le sue caratteristiche:

Ilulissat, il villaggio degli iceberg, Uummannaq, il villaggio del cuore, la bella cittadina di Sisimiut con le vecchie casette.
Balene e foche possono spesso essere avvistate, non solo dal mare ma addirittura anche dalla terra ferma.

Groelandia occidentale
La Baia di Disko
L’attrattiva principale di un viaggio invernale in Groenlandia è costituita dai meravigliosi Icebergs, e la destinazione giusta per poter ammirare questi immensi blocchi di ghiaccio galleggianti è senza dubbio Ilulissat.

La permanenza a Ilulissat consente anche di seguire le orme dei cacciatori, trasportati sulle slitte trainate dai poderosi cani husky alla volta dell’isolato villaggio di Rodebay.
A Kangerlussuaq, è possibile entrare in contatto con il vero mondo artico e con la calotta polare.


Ilulissat,la Baia degli icebergs

è una scenografica baia del ghiaccio galleggiante (Ilulissat, patrimonio UNESCO), con la meraviglia dell’aurora boreale e dell’artico più selvaggio (Kangerlussuaq)

Chi ha effettuato una crociera tra i ghiacci ha potuto avvicinare le enormi sculture naturali di ghiaccio galleggiante (Icebergs) che hanno reso famosa Ilulissat, e la meravigliosa baia di Disko.

Il bue muschiato, le renne, l’aurora boreale, la pesca sul ghiaccio sono le meraviglie del lungo inverno boreale in Groenlandia.

Abbandonare il mondo “civile” per entrare in quello meraviglioso dell’artico, dei fiordi ammantati di ghiaccio dove gli icebergs diventano immense sculture naturali; è come viaggiare indietro nel tempo e provare le emozioni degli antichi esploratori polari.

L’unico rumore che si avverte è il suono della slitta che scivola sicura sulla neve e gli incitamenti che la guida urla per controllare il lavoro dei suoi cani meravigliosi , i cani da slitta Husky.

martedì 25 novembre 2008

Neve


Era lei, la neve

E un mattino
appena alzati, pieni di sonno,
ignari ancora,
d'improvviso aperta la porta,
meravigliati la calpestammo:
Posava, alta e pulita
in tutta la sua tenera semplicità.
Era
timidamente festosa
era
fittissimamente di sé sicura.
Giacque
in terra
sui tetti
e stupì tutti
con la sua bianchezza.
(E. Evtusenko)

Denaro e potere

Un noto filosofo, circa due secoli fa, scrisse queste parole, che – a mio avviso – sono molto attuali.
Volutamente non scrivo subito il nome del filosofo :)

"Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo.

Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere.

Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore.

Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne.

E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro.

Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio.

Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore.

Il denaro è il bene supremo, e quindi il possederne è bene; il denaro inoltre mi toglie la pena di esser disonesto; e quindi si presume che io sia onesto.

Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede?

Inoltre costui potrà sempre comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è più intelligente delle persone intelligenti?

Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà? Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario?".

Queste parole furono pubblicate nel 1844, come è possibile che una sola persona mi stia davanti agli occhi, mentre le leggo?

lunedì 24 novembre 2008

La Celebrazione dei Misteri ad Eleusi

La celebrazione finale dei Misteri ad Eleusi durava nove giorni: i primi tre erano di preparazione e di purificazione.

Nel quarto giorno un carro trainato da buoi sfilava davanti ai soli Iniziati, mentre i profani erano obbligati a ritirarsi persino dalle finestre. Al seguito del carro sfilavano alcune donne che portavano delle ceste contenenti nell’ordine: focacce (nero) (il pane allora non era bianco ma quasi nero), lana (bianco), melagrane (rosso fuoco) e papaveri (rosso).

Il “rosso” dei papaveri ha comunque una valenza di “oro” che si aggiunge all’oro di cui erano fatte le ceste.

Infatti i papaveri, nascendo nei campi di grano e quindi sacri a Demetra, a cui si ispiravano i Misteri Eleusini, rappresentano il confine tra ciò che è commestibile e ciò che non lo è.

Sono in definitiva un alimento sacro che non è un vero alimento e rinascono nel grano che ha il colore dell’Oro senza essere stati seminati, come quindi la Fenice.

E’ stupefacente, come già allora, vi fosse un simbolismo così preciso e dettagliato.

Nel quinto giorno i Mystes dovevano vagare al buio per tutta la notte, imitando la ricerca che fece Demetra per ritrovare la figlia Persefone – rapita da Plutone.

Il sesto giorno gli Iniziandi scortavano con alte grida e danze, un carro trionfante con la statua di Iacco coronata di mirto, che veniva trasportata da Eleusi ad Atene.

Il simbolismo legato ad Iacco (che è una seconda personificazione di Bacco) è molto complesso ed ha significati che si ricollegano ai Misteri di Mitra e di Osiride.

Iacco è figlio di Demetra e di Zeus. Inseguito dai Titani per ordine di Era, gelosa e irata, assume la forma di Toro (il Toro cosmico di Mitra) per sfuggire alla cattura, ma viene scovato e smembrato e le parti del suo corpo vengono messe a bollire in un grosso calderone.

Zeus, supplicato da Demetra, ordina ad Apollo di riunire quanto resta di Iacco sul Parnaso.

Intanto Atena (la Scienza) porta a Zeus il cuore ancora palpitante di Iacco che Zeus inghiotte al fine di ridargli la vita. (Rinascita della Fenice)

Tutto questo detto in modo molto sintetico, solo per spiegare perché fosse la statua di Iacco a guidare il corteo trionfale. Nei restanti tre giorni l’Iniziando pregava, meditava su quanto visto e riceveva l’iniziazione vera e propria da parte dei Maestri.

Equinozio d'Autunno

In un antico testo della Mesopotamia si legge che il Sole, dopo aver trionfato nell’estate, tra il 21 e il 23 di settembre – all’Equinozio d’Autunno - incrociando di nuovo l’equatore celeste, possa perdere progressivamente di forza e quindi cadere in un abisso da cui potrebbe non risollevarsi.

Nelle raffigurazioni del dio solare Mitra, nell’atto di uccidere il Toro Primordiale, da cui nacquero ogni pianta e animale utili all’uomo, ai due lati sono posti due dodofori, Caute e Cautopate:

il primo indica l’Equinozio di Primavera ed ha una fiaccola luminosa rivolta verso l’alto, il secondo indica quello dell’Autunno ed ha una fiaccola quasi spenta rivolta verso il basso.

Nel mondo antico in questo periodo dell’anno si celebravano i Grandi Misteri Eleusini, che erano la investitura finale di un percorso iniziatico che ciascun adepto aveva svolto nelle varie scuole del mondo allora conosciuto, e che qui riceveva l’ultima definitiva investitura.

Ai Misteri che si celebravano in Autunno ad Eleusi nella Grecia antica, partecipavano individui provenienti da ogni parte del mondo a quei tempi conosciuto.

Lo stesso Cicerone si fece iniziare ai Misteri di Eleusi e nel De Legibus ne parla come “ Il beneficio migliore che Atene abbia portato agli uomini.

Attraverso i Misteri abbiamo imparato a conoscere i principi della Vita e attraverso questi, il mezzo non solo di vivere nella gioia, ma anche di morire con una speranza migliore.”

Il messaggio più importante di questi Grandi Misteri è che, come la vita agreste si prepara al lungo lavoro notturno di rigenerazione della vita, anche l’iniziando ai Misteri deve rinascere dalle proprie ceneri come una Fenice, più splendente di prima.

L’intero ciclo che comunque ricordo, era una fase finale, in quanto il candidato doveva aver già appreso i primi insegnamenti presso altre scuole, durava cinque anni.

Questo per chiarire le cose sul fatto che ogni seria iniziazione ha bisogno di tempo. La Pietra deve maturare, la Luce deve accrescersi secondo i ritmi della Natura che sono scanditi da Equinozi e Solstizi.

Madre

" Pungolo acuto, l'angoscia le straziò il cuore; le sue care mani lacerarono il velo sui capelli fragranti di ambrosia, ambo le
spalle poscia coprì con vesti scure, si precipitò sopra terre e mari, come san fare gli uccelli, sempre cercando.

Nessuno però volle darle notizie, né dio alcuno, né veruno degli umani mortali.

Per nove giorni Demetra sovrana vagò per la terra, con nelle mani faci accese, sofferente ricusò l'ambrosia, disdegnò del nettare la bevanda dolce di miele e mai non bagnò le membra "

( Inno omerico a Demetra )

L'amore di una madre: la ciclicità delle stagioni.


Demetra, dea del grano, delle messi - sprofonda in un dolore lacerante - per la sparizione improvvisa di sua figlia Kore, misteriosamente inghiottita dal terreno mentre stava raccogliendo fiori insieme alle figlie di Oceano in un campo.



La madre ancora non lo sa, ma è stato Ade a rapirla. La fanciulla si è ribellata, ha urlato la sua disperazione, ma invano: il dio degli Inferi l'ha trascinata giù, nelle profonde viscere della terra, per farne la sua sposa.

La verginità di Kore ("fanciulla") è tramontata: da ora in poi la giovane Dea sarà chiamata Persefone, "colei che conduce verso la morte".

Non potrà essere più la stessa dopo avere assimilato le ombre e conosciuto le vorticose, torbide labbra di Ade.

Demetra per il dolore erra per nove giorni alla ricerca della sua amata Kore: non mangia, non beve, non si lava.

Celeo, il re di Eleusi, nella cui casa Demetra si ferma sotto le sembianze di una vecchia - le costruirà il tempio che la Dea esige, così come esige che tutto il popolo eleusino le renda onore.

Lì , in questo tempio, la Madre Cosmica si siede in solitudine, chiudendosi al resto del mondo e trasformando la propria amarezza in desolazione, morte, siccità, distruzione.

Tutta la natura è sconvolta ed ogni coltivazione diventa impossibile.

Zeus, preoccupato per la dilagante carestia, manda messaggeri a Eleusi per convincere la Dea a tornare sui suoi passi, ma Demetra annuncia che mai più tornerà sull'Olimpo né farà germogliare il terreno, se prima non le verrà resa la figlia.



Ade deve acconsentire che la sposa torni dalla Madre, ma prima - furtivamente - le fa ingoiare un chicco di melagrana che assoggetterà Persefone ad una esistenza alternata: potrà restare con la Madre per due terzi dell'anno, ma dovrà trascorrere l'altro terzo presso Ade:
tornerà sulla Terra ogni primavera, insieme al rifiorire della Natura.

Delusa per questa condizione, ma felice per il ritorno della figlia, Demetra rientra finalmente nell'Olimpo e mentre sale verso il Cielo i frutti cominciano di nuovo a germinare e ovunque sbocciano fiori.

domenica 23 novembre 2008

Leggere se stessi

"Ogni lettore, quando legge, legge se stesso.
L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso"

(Marcel Proust).

Si sta come d'autunno

Si sta come d'autunno
sugli alberi le foglie


è una celebre poesia di Ungaretti - intitolata Soldati in guerra composta da questo verso.

In una intervista , rilasciata tempo fa, Aldo Masullo ne parla in questo modo.

Se la si prova a spiegare, risulta abbastanza banale: i soldati in guerra sono come delle foglie in autunno perché stanno sempre sul punto di cadere.

Tramite tale parafrasi ci potrebbe sembrare di aver affermato una cosa vera, che corrisponde all'esperienza di chi si trova in guerra.


Ma non si tratta di prosa, bensì di poesia.

Nel momento in cui la declamo - non bisogna mai scordarsi che la poesia è voce, dizione, canto, ritmo e scansione, e che la scrittura serve soltanto a ricordarla - mi rendo conto che essa va preparata attraverso il silenzio e va seguita dal silenzio: il silenzio non è dicibile.


Andando molto indietro nel tempo, potrei anche citare dei versi di un'altra poesia

"Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia. Chi vuol essere lieto sia, del doman non v'è certezza".

Se traduciamo in prosa queste parole, ci accorgiamo di nuovo che esse esprimono un'idea abbastanza banale. Dette in forma poetica, invece, riescono non tanto ad evocarci qualcosa che abbiamo già sentito - esse, infatti, non "esprimono" - quanto a farci vivere un nostro rapporto con la realtà, in questo caso quello della fugacità del tempo.

Tramite la poesia richiamiamo l'attenzione di chi ci ascolta sul cono d'ombra che è il nostro vivere le cose.


Ecco perché la poesia non consiste tanto nella ricerca della verità delle cose, quanto in "un sommesso esistere come silenziosi fratelli delle cose".

Essa non è né comunicazione, né espressione, né tanto meno verità: è vita nel suo modo più intenso, è sollecitazione alla creazione più che creazione in sé e per sé, è grazia e incantesimo.


In un mondo come il nostro, nel quale veniamo sommersi da forze tecnologiche spesso utili e talvolta dannose, dove viviamo con estrema velocità e dove non possiamo fare a meno delle macchine, talvolta è necessario fermarsi un istante e lasciare che il tempo rimanga sospeso, in modo che il buco buio della nostra esistenza venga circoscritto dalle nostre parole.

Da una intervista rilasciata da Aldo Masullo

Desiderio e abbandono

Desiderio vuol dire
attesa che si inoltra
di poco - nelle spire
irrisolte di un'altra
eterna scelta: latte?
limone? Con astuzia
provvedo che la sorte
non esca dalla tazza.

Mi hai insegnato che abbandonarsi è una scommessa
e la riuscita deriva dallo stupore
la conchiglia si meraviglia di se stessa
rivelando all'interno che non ha colore.


(Toti Scialoja - "Poesie 1961 - 1998 - Ed. Garzanti)

sabato 22 novembre 2008

Erri de Luca

Erri de Luca recita Valore




http://it.youtube.com/watch?v=03k9su2y58E



Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che.

Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

(Erri De Luca)

Non esiste vento favorevole



"Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare"

(Seneca)

Strategie del cuore

Le emozioni non sono semplice materiale da plasmare, ma anche ricettacoli della memoria e canali di esperienze.

Il piacere, per esempio, quando non ottenebrato da inibenti tabù moralistici, rappresenta un insostituibile veicolo di auto-analisi, così come una forte repulsione è quasi sempre spia di un nodo psicologico da risolvere (altrimenti si proverebbe solo indifferenza) e il dolore, se rielaborato con opportuni criteri, può rivelarsi una insospettata fonte di crescita e rinnovamento.

Conoscersi vuol dire sapersi ascoltare. imparare dalle sensazioni accettandole come se non ci appartenessero, per riuscire poi a coglierne il significato senza interporre preconcetti.

Il nocciolo della questione è dunque sempre il medesimo: trovare mezzi idonei a scoprire la propria Volontà, quella che sa dove condurci e che non si lascia disorientare da pulsioni e desideri, ambizioni e inquietudini, ansie, timori, ma procede fluida verso il compimento di sé.

Una ipotesi per individuarla può essere visualizzare una navigatrice che, partita senza direzione, si affida al caso, cioè si pone in un atteggiamento ricettivo rispetto all'ambiente circostante, di cui cerca perciò di interpretare gli eventi come segni.

Su come poi attuare questa Volontà, un possibile sistema ci è stato dato da L'Alchimista di Paulo Choelo, esoterista e già massone: un romanzo il cui leitmotiv è appunto costituito da quanto il giovane pastore andaluso Santiago apprende da un misterioso vecchio (definito "Re di Salem") e cioè che scopo della vita è "realizzare la propria Leggenda Personale", modello che affiorerà più volte nella mente del protagonista, ispirandone le decisioni.

venerdì 21 novembre 2008

Dall'ammazzablog a ...

Per finire gradevolmente la settimana, posto dal blog di Grillo quanto segue:

"L'Italia sta fallendo. Le famiglie arrivano alla terza settimana del mese prima. Due milioni di nuovi disoccupati entro un anno. E le nostre Marie Antoniette, prima Levi (PDmenoelle), ora Cassinelli (PDL) non hanno niente di meglio da fare che lavorare notte e giorno, PAGATI DA NOI, per mettere il bavaglio alla Rete.

Appena Levi ha "dichiarato" di aver ritirato la sua proposta ammazzablogger, ecco che s'avanza Cassinelli con una nuova legge fottiblogger. La differenza è sostanziale. Se Levi ammazzava i blogger, Cassinelli prima li fotte dicendo che li salva e poi li ammazza come spiega l'articolo di Punto Informatico.

Io veramente non capisco più questi politici. A quale punto di esasperazione popolare vogliono arrivare. Riusciranno a trasformare gli italiani in conigli mannari. Le aziende chiudono, i risparmi di una vita sono bruciati, tre assassinati sul lavoro al giorno. Mentre ciò avviene, questi irresponsabili discutono dell'ammazzablogger, di Villari e della sorveglianza RAI. Bisogna chiuderla la RAI insieme a Mediaset. Sono lezzo, CO2 mischiato a menzogne e a interessi privati.

Questa politica è tenuta in piedi dai media. Senza chiude in un giorno. Per questo si preoccupa della Rete e tiene sotto controllo la televisione. Cassinelli, non rompere i co....ni. La Rete non ha bisogno delle tue leggi. Non ha bisogno di nessuna nuova legge. E' in buona salute e sputtana ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo le porcate del tuo partito, di Forza Italia. Non ci rappresenti, nessuno ti ha eletto.

Invito i blogger a lasciare un commento alla proposta di legge di Cassinelli nel suo blog: robertocassinelli.blogspot.com o (se i vostri commenti non vengono pubblicati) una mail a: cassinelli_r@camera.it

No all'ammazzablogger. Il mandante ha cambiato nome. Da Levi a Cassinelli, ma si legge sempre Veltrusconi.
Loro non molleranno mai, noi neppure.

Da La rete di Grillo

Gli uomini che si voltano

Probabilmente non sei più chi sei stata ed é giusto che così sia.
Hai raschiato a dovere la carta a vetro e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce é ingigantire quel segno,
formare un geroglifico più grande del diadema che ti abbagliava.

Non apparirai più dal portello dell'aliscafo o da fondali d'alghe,
sommozzatrice di fangose rapide per dare un senso al nulla.
Scenderai sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera, tu la sola vivente,
e non ti chiederai se fu inganno, fu scelta,
fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l'arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch'io.
Sono colui che ha veduto un istante e
tanto basta a chi cammina incolonnato
come ora avviene a noi se siamo
ancora in vita o era un inganno crederlo.
Si slitta.

(Eugenio Montale da Satura; Satura II)

La condizione umana. Chi sei?







Per poter rispondere alla domanda "chi sei?" bisogna raccontare la storia della propria vita - dice Hannah Arendt.

La storia della propria vita, anche nel caso in cui la si riuscisse a raccontare, avrebbe bisogno, per essere raccontata, di essere ascoltata;

La storia della propria vita, per essere raccontata, certo, avrebbe bisogno di quegli elementi di finzione, dell'elemento di finzione che ogni racconto richiede, avrebbe bisogno però - per essere la storia della propria vita, anche di qualche elemento di verità.

Non i fatti così come sono accaduti, e nemmeno i fatti così come sono stati vissuti, ma i fatti così come pensiamo di averli vissuti nel momento in cui proviamo a rispondere a quella domanda.

H. Arendt, Vita activa. La condizione umana (1958) - Bompiani, Milano 1989

giovedì 20 novembre 2008

Mito e psicoanalisi


La creatività della dea Demetra corrisponde a tratti della creatività' femminile indagabile attraverso la psicoanalisi.

La donna e' più dell'uomo a contatto con i suoi sentimenti e più capace di assumersi la responsabilità di un rapporto affettivo.

L'esperienza del parto, dell'allattamento e del prendersi cura del bambino rende la donna capace di estendere il suo amore da se stessa e dai suoi figli agli altri esseri umani.

La tenerezza e la pietà materne promuovono pace e fratellanza.
Il fatto che la madre ami i suoi figli incondizionatamente, cioè solo perché sono i suoi figli, e non per le loro qualità e i loro meriti, pone il principio di uguaglianza tra gli esseri umani.

Tutti siamo figli della natura, della Madre Terra, e tutti godiamo di un diritto naturale al nutrimento, alla vita e al benessere.

Qui sta il fondamento emotivo dell'umanesimo, del giusnaturalismo, dell'illuminismo, dei grandi ideali delle moderne democrazie (Fromm, 1955).

Secondo Fromm l'amore materno presenta due aspetti: quello di tutte le cure necessarie perché il bambino viva e cresca e quello di infondergli l'amore per la vita, il senso che la vita e' bella, la gioia di vivere.

I due aspetti corrispondono rispettivamente ai biblici "latte" e "miele".

Molte le madri che sono in grado di dare il "latte", poche quelle che oltre al "latte" sanno dare anche il "miele", perché solo una donna felice può dare anche il "miele", cioè contagiare il bambino con la sua felicita'.

L'essere umano può assumere un ruolo di creatore in vari modi, uno dei quali è l'amore per i propri figli.
La madre trascende se stessa nell'amore per il proprio bambino.

Il compito materno più difficile sta nell'accettare e nel favorire che il figlio crescendo si separi e autonomamente viva la propria vita.


La creatività' materna fa di una persona due persone, la madre da una si fa due, non solo in senso fisico ma anche psicologico.

Una completa capacita' di dare comporta che la madre ami il figlio o la figlia anche mentre egli o ella si separa da lei, poiché' lei sopratutto desidera la felicita' della sua creatura.

Desiderare la crescita del figlio o della figlia e' il tratto più specifico e creativo dell'amore materno in senso pieno e compiuto, che viene caratterizzato dall'assenza di possessività e dalla prevalenza del dare sul ricevere.

Il più profondo bisogno dell'essere umano che viene alla luce e' questo, di essere amato nella gioia che dà la sua crescita giorno dopo giorno.

L'amore attiva interiormente sia chi ama sia chi e' amato.

L'amore materno non possessivo predispone i figli alla capacita' di amare.

L'aspirazione a un amore materno incondizionato accompagna l'essere umano nel corso della sua vita e trova espressioni simboliche nella poesia e nell'arte, nella religione e negli ideali politici e sociali.

L'attesa di una figura materna protettiva può essere più o meno intensa; può presentarsi come stato di bisogno, richiesta passiva, attaccamento simbiotico.

In questi casi non si sviluppa la capacita' di amare ma permane invece la fissazione alla madre, che riguarda uomini e donne, e' pregenitale, e la sua eventuale coloritura sessuale e' una conseguenza successiva e non una causa (Fromm, 1964).

Avviene che non solo i bambini ma anche gli adulti, di fronte alla complessità e alla difficoltà di vivere, aspirino a una figura che come Demetra produce, nutre e protegge e ad un tempo governa e stabilisce le norme secondo cui vivere.

Gli individui in questa condizione desiderano essere accuditi e restare privi di responsabilità, rinunciando allo sviluppo pieno delle loro potenzialità di esseri umani.
Essi non sentono in se stessi la fonte dell'energia necessaria alla loro vita e pongono al loro esterno l'origine di ogni bene.

(da un articolo di Romano Biancoli)

Spremute d'arancia

Deve essere proprio l'Estate di San Martino, questa. Le giornate sono soleggiate, solo un po' fredde, ma è un piacere uscire, osservare, non pensare almeno per un po' a ciò che è successo all'Italia.

Stamattina con mio marito stavamo preparando spremute di arancio (lui si è buscato il raffreddore) e non ricordo come e perché ma ci siamo ritrovati tutti e due a canticchiare:

“ mo’ vene Natale, nun tengo denare…me fumo ‘na pippa e me vaco a cuccà…”

Un amico napoletano, una volta mi disse che quel "cuccà" non è semplicemente "coricarsi, dormire" come avevo sempre inteso io, ma ... qualcosa di più o ...di diverso ...

Nell'arguzia, Napoli è imbattibile o almeno lo è stata a lungo.

Intanto qui sono arrivate di nuovo le cinciallegre. Di solito compro i semi giusti per loro, ma niente le fa affollare sul mio davanzale come briciole di biscotti Pan di Stelle.

Il Mulino bianco ha colpito ancora ...

mercoledì 19 novembre 2008

Siedono sulle panchine


Siedono sulle panchine
le ultime foglie stanche
e sussurrano appena,
parole di addio,
nel viale d'autunno spoglio.

S. Atckucova

Il dubbio




In un passo delle "Confessioni" Sant'Agostino si interroga sull'idea del tempo - muovendo verso quei luoghi del dubbio che imprimeranno al suo pensiero il fascino irresistibile del mistero.

"Cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so. Tuttavia, questo posso affermare con fiducia di sapere:che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato, e se nulla venisse, non vi sarebbe un tempo futuro, e se nulla esistesse, non vi sarebbe un tempo presente.

Ma allora questi due tempi, il passato e il futuro, come possono esistere, se il passato ormai non è più e il futuro non ancora? Quanto al presente, se fosse presente senza diventare passato, non sarebbe più tempo, ma eternità." (Agostino di Tagaste - "Confessioni", XI - Mondadori Editore, 1996)

Il filosofo di Tagaste, circa 2.000 anni fa, aveva compreso che - del mondo dell'uomo e del manifestarsi di questi nel mondo - è lecito porre interrogativi, più che decretare sentenze.

L'autenticità del dubbio consiste nella forza che esso istituisce, nel muovere verso il comprendere che non in-clude, ma incessantemente dis-chiude.

Il dubbio insorge con sinuosa seduzione nell'attimo stesso in cui sorprende l'incanto e la inquietudine del mistero.

La memoria è dunque racconto che l'anima, istituendo silenzi e parole, drammatizza sulla scena, dove si alternano, tra luci confortanti ed ombre inquiete, indifferenza e pathos.

martedì 18 novembre 2008

Hikikomori

Un fenomeno che riguarda oltre un milione di giovani giapponesi, che in maniera apparentemente non motivata, si ritira nella propria stanza e vi rimane ininterrottamente per lunghi periodi, spesso molti anni. Un problema che può riguardare tutti i nostri figli, anche se dall’altra parte del mondo.

Hikikomori è un fenomeno che riguarda oltre un milione di giovani giapponesi, la maggior parte di sesso maschile, che in maniera apparentemente non motivata, si ritira nella propria stanza e vi rimane ininterrottamente per lunghi periodi, spesso molti anni. Diversamente da altre forme di disagio adolescenziale, i giovani Hikikomori si spingono oltre: lasciano la scuola, abbandonano anche gli amici, interrompono ogni tipo di comunicazione trascorrendo lunghissimi periodi in completo isolamento.

La società giapponese non approva gli hikikomori e finisce per definirli malati, anche se medici e terapeuti sostengono che non si tratti di malattia: il giovane si isola per riposare, per reazione a episodi di bullismo o per un esame scolastico andato male; ma con il trascorrere del tempo la reclusione provoca patologie come psicosi, fobie, regressioni e violenza domestica.

Un figlio Hikikomori è un disonore tale che la famiglia mantiene il segreto per anni prima di interpellare un medico.

Difficile metterne a fuoco le cause: da una parte i valori culturali, dall'altra la crescita economica e la pressione sociale che ne reclamano altri troppo rapidamente per essere assimilati, un contesto famigliare con la "non presenza" del padre immerso nel lavoro influisce più di qualsiasi presenza e un legame madre-figlio che travalica i suoi naturali confini.

La chiave di lettura che si tenta di fare emergere è quella di corpi, corpi sovversivi, che attraverso la loro volontaria reclusione compiono azioni forti, fanno esplodere le contraddizioni e i lati oscuri di ogni società.

Ed è per questo che Hikikomori non rappresenta un problema solo del Giappone ma riguarda tutti i nostri figli, anche se dall'altra parte del mondo.

Carla Ricci, ha conseguito la laurea di antropologia culturale ed etnologia presso l'Università di Bologna. Da anni svolge ricerca sul campo in Giappone dove si è specializzata in tematiche psico-sociali, portando a compimento diversi lavori sul suicidio e su espressioni di disagio giovanile fra cui Hikikomori. Attualmente vive a Tokyo, e svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Psicologia Clinica dell' Università di Tokyo.

"Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione"
Collana: Adolescenza, educazione e affetti
Editore: Franco Angeli
da Psychostore

Non sprecare

A proposito della cerimonia del tè, si nota, leggendo, che, nonostante si tratti di un lungo rituale, ricco di attenzioni, di sensibilità, di elementi, fra tutto campeggia la sobrietà.

Sobrietà che da noi è un termine quasi dimenticato, per cui cito un libro uscito di recente, scritto da Antonio Galdo, dal titolo "Non sprecare" - edito da Einaudi.

"Siamo diventati tutti spreconi, terribilmente spreconi. Per i motivi più svariati: abitudine, indifferenza, distrazione. O anche miopia o vizio.

Viviamo con l'orologio sincronizzato nel tempo della società 'usa e getta' e siamo ossessionati da uno stile, ormai diventato naturale, che si traduce nella cancellazione della parola sobrietà diventata fuori moda, e nello sperpero di cose tangibili, dalle risorse naturali al cibo, e di beni immateriali.

I più importanti, quelli che non hanno prezzo, non si trovano sul mercato, eppure ci appartengono come parte integrante della persona umana. La vita (e il suo dopo, cioé la morte), la salute, la bellezza, il tempo, le parole, il talento.

La lotta contro lo spreco, che cova come un serpente dentro ciascuno di noi, è affidata allo sforzo di alcune minoranze. Magari anche di singole persone, forti e coraggiose. Sono loro che invocano e praticano il dittico «Non sprecare».

I nostri frigoriferi traboccano di cibo che neanche tocchiamo prima di gettarlo nella spazzatura. Nei nostri armadi non riusciamo più a infilare vestiti e scarpe perché sono troppi e non ci servono.

Distruggiamo risorse naturali che la Terra non è più in grado di riprodurre.

Ma innanzitutto sciupiamo corpi ed anime. Di fronte allo spreco, ci arrendiamo. Alziamo le mani.

Per scrivere questo libro ho incontrato padri e figli, mamme del cuore e della pancia, monaci e scienziati, uomini di fede e non credenti, mercanti e servitori dello stato, geni dell'arte e visionari del volontariato a mille dimensioni, capi di piccole comunità ed eredi di grandi imperi economici.

Ho cercato di scoprire, dentro ciascuno di loro, il seme di una resistenza a ciò che sembra ineluttabile.
Sono andato a vedere che cosa accade in tanti regni geografici del benessere, in Europa, in America, in Cina. E mi sono convinto che la battaglia contro lo spreco è tutta da combattere, anche con gioia, perché è una straordinaria avventura verso un nuovo stile di vita.’

Dal sito dell'editore Einaudi

lunedì 17 novembre 2008

La cerimonia del tè


La pianta del tè, originaria della Cina, era ben conosciuta dalla medicina cinese.

I taoisti la consideravano un ingrediente fondamentale dell’elisir dell’immortalità che risiede nel perenne mutamento e permea ogni forma di pensiero.
All'inizio del IX sec. i viaggiatori giapponesi in Cina portarono in patria la passione del tè.

Inizialmente la bevanda era consumata quasi esclusivamente dai monaci buddisti, per mantenersi svegli nei lunghi periodi di meditazione.

Dal XII sec. il tè si diffuse anche al di fuori dei monasteri, ed i giapponesi decodificarono così una vera e propria cerimonia, che non metteva l'enfasi sull'aroma e il sapore della bevanda, ma sulla ritualità della sua preparazione e del suo servizio.

Lo Zen, che tanto aveva assorbito dalle dottrine taoiste, formulò il rituale del tè.

La bevanda divenne un pretesto per praticare il culto della purezza e della raffinatezza, una sacra funzione per vivere un momento di massima beatitudine, una specie di rappresentazione la cui trama si intesseva intorno al tè, ai fiori e ai dipinti.



La Cerimonia del tè nel Giappone antico era un momento elevato della vita, un rituale finalizzato all’educazione dell’individuo.

I modi e i tempi della cerimonia erano strettamente determinati, così come l’arredamento.


Parca la conversazione legata unicamente all’apprezzamento degli utensili. E’ un rapporto senza tempo con la storia e racchiude il mistero dell’ospitalità.

La luce è soffusa, si ode il frusciare dei kimono sui tatami, il rumore dei legni, dell’acqua che bolle col suo gorgogliare sommesso, il vento che passa fra i bambù del giardino. Sembra che in quella bevanda calda sia racchiuso un mistero.
Dopo aver bevuto il tè, l’ospite riconosce spesso che quell’esperienza lo ha cambiato. A questi livelli il tè è una pozione magica che realizza la conoscenza senza spiegarla, accenna a un contegno e scova nel mondo una via di fuga (tutti i maestri del tè hanno familiarità con l’opera poetica di Bashò).


Se talvolta una tazza si rompe, indica la caducità delle cose. Il maestro del tè non si compiace né si avvilisce, semplicemente agisce raggiungendo nella sua arte il punto più alto della sua ricerca: realmente vitale è l’atto del compiere, non ciò che viene compiuto.

Nel giardino, fuori dalla casa del tè, conficcate per terra, le armi dei samurai accarezzate dal vento come a significare una resa. I guerrieri di entrambe le parti gustavano il tè e andavano a morire.


Come tutte le vie zen anche la Cerimonia del tè è fortemente simbolica e profonda.

(La cerimonia completa consiste di tre parti della durata di circa quattro ore: pasto e intervallo sulla panca di attesa in giardino – un gong se ben suonato evoca il vento attraverso la foresta e dà inizio alla seconda parte – si offre il tè denso in polvere stemperato con un apposito strumento fatto con fili di bambù – più tardi il tè più leggero, fresco).In genere si giunge alla cerimonia in anticipo per ammirare il giardino, per meditare e per liberarsi dalle preoccupazioni.

Le calze saranno pulite e bianche, si porterà un ventaglio pieghevole e una busta con fazzoletti di carta raffinata.

Prima dell’arrivo degli ospiti il giardino viene accuratamente ripulito e irrorato d’acqua per dare una sensazione di freschezza e, a seconda della stagione, cosparso di aghi di pino o di foglie autunnali od anche di petali di fiori, per produrre modesta rusticità e imperfezione arcaica.
Alcuni maestri del tè si prefiggono di raggiungere la serenità, altri la purezza e altri ancora la solitudine.


Ad esempio un giorno un maestro collocò alcune piante acquatiche in un recipiente piatto per suggerire la visione di laghi e paludi e sulla parete un dipinto di anatre selvatiche in volo.

Un altro maestro accostò una poesia sulla bellezza della solitudine al mare a un braciere di bronzo a forma di capanna con fiori selvatici che crescono sulle spiagge.

Il percorso nel giardino per arrivare alla casa del tè è caratterizzato da una speciale passatoia di pietre che sono state scelte con grande cura per la loro regolare irregolarità e bellezza di linee che richiamano tuttavia ad una grande attenzione e presenza per non cadere.Prima di entrare nella casa del tè ognuno compie gesti simbolici di purificazione nello scubai (quattro ideogrammi: ognuno possiede tutto ciò che basta a se stesso) risciacquandosi le mani ed anche le labbra.
L’igiene è della massima importanza.

Nessuno indossa anelli per non graffiare le tazze e nemmeno orologi che schiavizzano la mente.

La porta che conduce alla sala da tè è bassa e obbliga ogni invitato a inchinarsi come gesto simbolico di umiltà.

Ci si inchina davanti al rotolo di pergamena con versi sacri ed anche alla composizione ciabana che in genere è semplice, essenziale e non profumata perché il protagonista è il tè. Ognuno mescola il braciere e ci si inchina nuovamente. Si ammirano le brocche di ceramica accanto al bollitore con apprezzamento del suono dell’acqua che bolle gorgogliante (vento di pino).
Il maestro si inchina ai suoi invitati ed essi rispondono allo stesso modo, poi cammina con passi misurati sollevando poco i piedi dal pavimento per lasciare appena udire il fruscio dei tatami là dove il suo piede appoggia.

L’acqua che avanza viene versata nel bollitore con gesti studiati, affinché produca un piacevole gorgoglio nel momento in cui l’acqua del mestolo raggiunge il bollitore.Il maestro si inchina prima di porgere la ciotola con il tè, che viene presentata dal suo lato migliore all’invitato il quale la rigira con cura verso il maestro in segno di rispetto. Vengono anche offerti su un elegante vassoio dei pasticcini di circa due centimetri e mezzo. Il primo invitato che prende il vassoio lo porge con un inchino al secondo, quasi scusandosi di essersi servito prima e così proseguendo con gli altri ospiti. La regola proibisce ogni tipo di conversazione verbosa, anche l’adulazione è proibita.

Tutto converge sull’osservazione degli arredi, degli utensili e del rotolo di pergamena.

Al giorno d’oggi i maestri intagliano a mano i loro cucchiaini da tè, ricavandoli dalla canna di bambù ed è motivo di orgoglio.

Nella sala del tè la parola chiave è “semplicità”.
L’arrendevolezza genera forza, la resistenza crea debolezza: nel cielo eterno vi è perpetuo rinnovamento, questo insegnano i maestri. La cerimonia del tè si basa sull’espressione di quattro concetti fondamentali:
wabi: vita scevra dal lusso e dalla falsità;
sabi: stesso significato riferito ai luoghi e alle cose, ma vuole anche indicare imperfezione arcaica come bellezza;
hibui: buon gusto, sobrietà;
fura: modo di vivere zen - puro godimento della vita - identificazione del sé creativo con lo spirito. Gli amici sono i fiori, gli animali, le pietre, l’acqua, i temporali e la luna.



(Francesca Famà Casarin)

domenica 16 novembre 2008

Riflessioni ZEN


Kobayashi, un critico culturale, sostiene che una foglia d'albero può nascondere la luna.

Se mettiamo una foglia sugli occhi, è così vicina che non riusciamo a vedere com'è e può impedire la vista della luna, e anche del mondo intorno a noi.

Se teniamo la foglia lontano, tuttavia, possiamo vederla così com'è, ed lo stesso con le altre cose: montagne, fiumi, nuvole ... tutti sono visibili se allontaniamo la foglia dagli occhi.

Per quanto riguarda le cose presenti nella nostra vita, possono essere troppo vicine per essere osservate nella giusta prospettiva, ragion per cui rimaniamo invischiati con facilità nelle situazioni, trascinati via, perdendo alla fine il nostro punto di vista, e possiamo facilmente gonfiarci d'orgoglio per una sciocchezza oppure cadere preda della malinconia, ma, se vediamo le cose nella giusta prospettiva, possiamo apprezzare lo scenario meraviglioso che ci circonda.

(Shundo Aoyama)

Gli uccelli nella mitologia

Sono uscita per una passeggiata, questa mattina. Non tutti gli alberi sono spogli, anzi alcuni fiammeggiano al sole e i colori sono diversi, dal verde al bruno, al rosso, al giallo...

C'è silenzio, alcune persone si dirigono verso la chiesa. Io mi fermo di tanto in tanto ad osservare i giardini, i campi, tutti arati, e gli uccelli: merli, tordi, tortore, piccioni.


Si pensava spesso, nell’antichità, agli uccelli come divinità o pensieri delle divinità.

Nella mitologia norrena, il dio Odino ha due corvi come messaggeri, Hugin (il pensiero) e Munin (la memoria)


Nella mitologia dell’America centrale, il dio dell’aria viene molto spesso raffigurato come un serpente piumato.

Nella tradizione dei Nativi Americani, l’Uccello del tuono è uno spirito di grande potere creativo e di enorme potenza.

Presso gli Egizi, il dio Horus era di solito rappresentato con testa di falco, mentre Maat, la dea egizia della Verità, si mostrava spesso con una penna di avvoltoio.

Per gli Indù, gli uccelli rappresentano uno stato superiore dell’essere.

Le leggende, il folklore e la mitologia sono piene di creature alate che hanno interessato l’umanità in molti modi.

Pegaso è il cavallo alato dei Greci.

Le arpie erano donne con il corpo di uccello e l’antico grifone è una combinazione di animali con grandi ali e testa di uccello.

La fenice è l’uccello mitico che viene bruciato nel rogo del sacrificio e poi risorge dalle sue stesse ceneri.

Per gli esseri umani primitivi, gli uccelli erano dei che potevano portare il tuono e la pioggia.

Il volo degli uccelli rappresenta un modo per lasciare la terra e salire al cielo, come anche un mezzo per scendere dal cielo e atterrare sulla Terra.

Sono simboli della trascendenza, della elevazione della natura inferiore.

Riflettono una sottomissione o la vittoria su una natura imperfetta. Molto spesso, la liberazione da uno stato dell’essere troppo fisso, immaturo, viene riflesso nella simbologia e nell’apparizione dell’uccello.

Essi rappresentano i simboli ultimi della trascendenza e dell’emancipazione da un modello di esistenza verso un altro superiore rispetto al primo. L’uccello riflette l’unione della mente conscia e di quella inconscia.

Per la sua capacità di volare, è associato all’aspirazione, ai voli dell’intuizione, alla bellezza.

Novembre



Oggi è una bellissima, soleggiata domenica di novembre.

Novembre era il nono mese dell’antico anno romano che cominciava con Marzo

Gli Anglosassoni lo chiamavano “Bloth-monath” (mese del sangue), nome derivante forse dal fatto che a San Martino si uccideva il bestiame per preparare la carne da mangiare durante l’inverno.

Proverbi

"Per i Santi, manicotto e guanti”

“Se di novembre tuona, l’annata sarà buona”

“Quando Novembre la frusta brandisce, è meglio se dal porto la nave non esce”

“Se il ghiaccio a Novembre l’anatra sostiene, oltre a fango e fanghiglia, altro più non viene”

sabato 15 novembre 2008

Oggi una foglia rossa


Oggi una foglia rossa
si è staccata dal ramo.

L'ha presa il vento,
piano.

Con lunga dolcezza è caduta.

Scendendo ha sfiorato
l'ultima farfalla dell'estate.

(Anonimo giapponese)

Estate incantata


Pochi giorni prima che nascesse mia figlia, era il mese di giugno, dovunque vedevo convolvoli:
convolvoli, malva e spighe di grano.
Fu una estate magica.

convolvoli


Alla sua nascita una delle cose che notai, a parte gli occhi azzurri, i capelli biondi, fu la pelle - proprio vellutata come un convolvolo.
Il giorno dopo mio marito e mia madre arrivarono con un mazzo di spighe di grano, dorate come quei giorni di estate appena iniziata ...

Mia figlia è nata il giorno del solstizio d'estate ed io vidi piangere per la prima volta mio marito di commozione, gioia, incredulità.

Sono passati 22 anni ma quel giorno rimane indelebile nella memoria del cuore.

malva

Non ho idea di cosa scriverò su questo blog, ma l'inizio dovevo - per amore - dedicarlo a mia figlia.

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