mercoledì 31 dicembre 2008

Il Vecchio e il Bambino

Un vecchio e un bambino si preser per mano
e andarono insieme incontro alla sera;
la polvere rossa si alzava lontano
e il sole brillava di luce non vera...

L' immensa pianura sembrava arrivare
fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare
e tutto d' intorno non c'era nessuno:
solo il tetro contorno di torri di fumo...

I due camminavano, il giorno cadeva,
il vecchio parlava e piano piangeva:
con l' anima assente, con gli occhi bagnati,
seguiva il ricordo di miti passati...

I vecchi subiscon le ingiurie degli anni,
non sanno distinguere il vero dai sogni,
i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
distinguer nei sogni il falso dal vero...

E il vecchio diceva, guardando lontano:
"Immagina questo coperto di grano,
immagina i frutti e immagina i fiori
e pensa alle voci e pensa ai colori
e in questa pianura, fin dove si perde,
crescevano gli alberi e tutto era verde,
cadeva la pioggia, segnavano i soli
il ritmo dell' uomo e delle stagioni..."

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"

(Francesco Guccini)

martedì 30 dicembre 2008

Il vischio


I Druidi attribuivano al vischio un grande potere.

Essendo una pianta aerea, che non ha radici ma vive attaccata al tronco di altri alberi, era considerata manifestazione degli dei che vivono in cielo; il toccare l'umana terra avrebbe voluto dire perdere i propri preziosi poteri.

In effetti se usato bene aveva effetti curativi e miracolosi, se usato male poteva essere velenoso.

Viene definita la pianta della Luna, grazie alle sue bacche bianche e lattiginose, che quasi brillano al buio.

I Celti usavano coglierlo soltanto in caso di reale necessità e con un falcetto d'oro, vestiti di bianco, scalzi e digiuni.

Il vischio era anche la pianta associata alla dea anglosassone Freya (o Frigga), sposa del dio Odino e protettrice dell'amore e degli innamorati.

La leggenda narra che Freya aveva due figli, Balder e Loki. Il secondo, cattivo e invidioso, voleva uccidere il primo, buono e amato da tutti.

Venuta a conoscenza di ciò Freya cercò di proteggere Balder e chiese a Fuoco, Acqua, Terra, Aria e a tutti gli animali e le piante di giurare la loro protezione per l'incolumità del figlio, e così fecero.


Loki però scoprì che la madre non si era rivolta ad una pianta, che non viveva né sopra né sotto terra: il vischio. Intrecciando i rami di questa pianta fece così un dardo appuntito, lo diede al dio cieco dell'inverno, che lo tirò dal suo arco e colpì, uccidendolo, Balder.

Tutti gli elementi della Terra e del Cielo si rattristarono per la morte dell'amato Balder e per tre giorni e tre notti cercano con tutte le loro forze di riportarlo in vita, ma non riuscirono. Freya, rassegnata e disperata, pianse tutto il suo dolore sul corpo del figlio.


Magicamente, le lacrime sincere della madre, a contatto con il dardo di vischio, diventarono le bacche perlate della pianta e Balder riprese vita.
Così Freya, colma di felicità, ringraziò chiunque passasse sotto l'albero su cui cresceva il vischio con un bacio.

Da lì in poi la dea vuole che chi sta sotto il vischio si baci, per avere la sua protezione eterna, simbolo della vita e dell'amore che sconfigge anche la morte.

Nel Cristianesimo questa simbologia è stata mantenuta e il vischio significa fortuna, protezione e amore.


Si usa regalarlo durante il periodo natalizio, oppure usarlo come decorazione per i pacchi o da appendere sulla porta di casa, come buon auspicio per chiunque entri. Se due innamorati si baciano sotto un ramoscello terranno lontani da loro problemi e difficoltà.
Se nel periodo natalizio una ragazza che si trova sotto il vischio non viene baciata dal suo amato non si sposerà per l'intero anno a venire.

Da qui

Tranelli

Davanti a un bene fortuito, quale che sia, arrestate, sospettosi e pieni di timore, i vostri passi.

Sono le fiere e i pesci a essere ingannati dalle seduzioni di non so quale speranza.

Credete che tutto questo sia dovuto alla generosità della Fortuna?

Sono tranelli e basta.

Chiunque di voi vorrà trascorrere una vita sicura, stia alla larga il più possibile da codesti suoi favori, appiccicaticci come il vischio, e all'interno del loro campo d'azione noi, sciagurati, sbagliamo anche in questo: crediamo di possedere, mentre ne siamo indissolubilmente posseduti.

Una rotta di questo genere ci precipita negli abissi: la conclusione di una vita che punta in alto è la rovina. E poi, quando la prosperità comincia a spingerci fuori dalla giusta direzione, non possiamo neppure fermarci, perché la Fortuna, allora, non ci farà invertire la rotta, ma ci farà inabissare o ci fracasserà sugli scogli.

(Lucio Anneo Seneca - Lettere a Lucilio, VIII, 1-4)

lunedì 29 dicembre 2008

Erving Goffman e lo straniero

Se la vita fosse un palcoscenico, come Goffman ci suggerisce, lo straniero, entrando a far parte della compagnia degli attori, dovrebbe conoscere il copione, lo stile di recitazione, il gusto del pubblico e quei balletti cerimoniali che caratterizzano la vita quotidiana.

Il "pensare come al solito" e il "sapere dato per scontato" dello straniero è quindi sospeso nella società ospite; non serve più come schema di interpretazione del mondo, diventa piuttosto un impedimento nell'interpretare e nell'orientarsi nel nuovo ambiente.

Sul piano dell'interazione questo aspetto ha per lo straniero conseguenze disastrose.

La mancanza del senso della distanza, il suo oscillare tra il distacco e l'intimità, la sua esitazione e la sua incertezza, così come la sua diffidenza in ogni questione che sembra così semplice e priva di complicazioni per coloro che si affidano all'efficacia delle ricette indiscusse che devono essere seguite.

La differenza percepita dal gruppo e dallo straniero si riferisce appunto alla mancanza di un passato comune, di un sistema di riferimenti cognitivi e morali che perde la sua validità nella nuova situazione, quella dell'incontro con la diversità.

Nel corso del cammino dell'umanità, si modificano le rappresentazioni dell'altro ma ciò che non cambia probabilmente è l'ambivalenza di cui si caratterizza il rapporto con l'altro, nei confronti del quale si dirigono sentimenti di repulsione e, nel contempo, di attrazione.

La figura dello straniero si può collocare entro una dialettica di vicinanza e lontananza, uguaglianza e differenza, dentro e fuori la comunità. In ogni epoca, l'altro rappresenta il futuro vago e non programmato, il luogo dell'incertezza perpetua e, come tale, qualcosa di attraente e, al tempo stesso, di spaventoso.

C'è quindi ragione di ritenere che le rappresentazioni dell'altro e le ideologie socio-politiche ad esse sottostanti incidano significativamente sul modo di rapportarsi con gli altri.

Il 19 novembre del 1982 si spegneva Erving Goffman, uno dei sociologi più originali e prolifici del secolo scorso.

Lo straniero

Tendiamo a pensare che le minacce alla nostra civiltà o a noi stessi vengano da fuori.
Abbiamo paura che un certo nemico ci distrugga.

Ma la società viene distrutta dall'interno, non da un attacco degli stranieri.

Possiamo immaginare che il nemico arrivi con le lance e le pistole per ucciderci, massacrarci.

In realtà, l'unica cosa che possa distruggerci è dentro di noi. Se abbiamo troppa arroganza, distruggeremo la nostra gentilezza.

E se distruggiamo la gentilezza, allora distruggiamo la possibilità di stare svegli; così non possiamo adoperare la nostra intuitiva apertura per affrontare le situazioni correttamente e, invece, generiamo una tremenda aggressione.

(Chögyam Trungpa da Perle di Risveglio)

Sonno profondo



"Posso solo suggerire che chi vuole combattere la falsa
coscienza e destare la gente ai suoi veri interessi ha molto
da fare, perché il sonno è molto profondo.

Ed io non intendo fornire una ninna-nanna,
ma semplicemente entrare furtivamente e
osservare il modo in cui la gente russa".


(Erving Goffman)

domenica 28 dicembre 2008

Cyrano

Venite pure avanti, voi con il naso corto
signori imbellettati, io più non vi sopporto!
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché
con questa spada vi uccido quando voglio.

Venite pure avanti poeti sgangherati,
buffoni che campate di versi senza forza
inutili cantanti di giorni sciagurati,
avrete soldi e gloria ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finché dura
ché il pubblico è ammaestrato
e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe.

Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco.

Facciamola finita, venite tutti avanti
nuovi protagonisti, politici rampanti;
venite portaborse, ruffiani e mezze calze
o feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto
del qualunquismo un arte;

coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto assurdo bel paese.
Non me ne frega niente
se anch'io sono sbagliato
spiacere è il mio piacere,
io amo essere odiato
coi furbi
da sempre mi balocco
e al fin della licenza
io non perdono e tocco.

Ma quando sono solo
con questo naso al piede
che almeno di mezz'ora
da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia
e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;

non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d'essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo ma sono triste
perché Rossana è bella, siamo così diversi;
a parlarle non riesco, le parlerò coi versi.

Venite gente vuota, facciamola finita:
voi preti che vendete a tutti un'altra vita;
se c'è come voi dite un Dio nell'infinito
guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso
che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali,
tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti,
per la mia rabbia enorme mi servono giganti.

Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco.
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada
ma in questa vita oggi non trovo più la strada,
non voglio rassegnarmi ad essere cattivo
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo;
dev'esserci, lo sento, in terra in cielo o un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.

Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole;
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perché ormai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo Cirano...

Francesco Guccini.

Il Paradiso dei calzini

sabato 27 dicembre 2008

Da "L'eleganza del riccio"

"Allora beviamo una tazza di tè

E come Kakuzo Okabura, l'autore del Libro del tè, che si addolorava per la rivolta delle tribù mongole nel XIII secolo non perché avesse causato morte e afflizione, ma perché aveva distrutto l'arte del tè, il più prezioso fra i frutti della cultura Song, anch'io so bene che il tè non è una bevanda qualunque.

Quando diventa rituale, rappresenta tutta la capacità di vedere la grandezza delle piccole cose.

Dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire, oppure nelle piccole che, senza nessuna pretesa, sanno incastonare nell'attimo una gemma di infinito?

Il rituale del tè, quel puntuale rinnovarsi degli stessi gesti e della stessa degustazione, quell'accesso a sensazioni semplici, autentiche, raffinate, quella libertà concessa a tutti, a poco prezzo, di diventare aristocratici del gusto, perché il tè è la bevanda dei ricchi così come dei poveri, il rituale del tè, quindi, ha la straordinaria virtù di aprire una breccia di serena armonia nell'assurdità delle nostre vite.

Sì, l'universo tende segretamente alla vacuità, le anime perdute rimpiangono la bellezza, l'insensatezza ci accerchia.

Allora beviamo una tazza di tè. Scende il silenzio, fuori si ode il vento che soffia, le foglie autunnali stormiscono e volano via, il gatto dorme in una calda luce.

E, a ogni sorso, il tempo si sublima."

(Muriel Barbery - "L'eleganza del riccio" - edizioni e/o)

Quella buona tazza di tè


C'erano grandi vassoi d'argento decorati con blasoni, e teiere parimenti d'argento dell'epoca di re Giorgio. Particolarmente apprezzati erano i servizi di porcellana Blind Earl.

I tè indiani erano dei tipi migliori: Ceylon, Lapsang, Darjeeling ... E i camerieri vi servivano da mangiare tutto quello che vi passava per la testa" (Miss Marple al Bertram Hotel)

"L'acqua non aveva ancora cominciato a bollire quando la signorina Somers la versò sul tè.

La povera impiegata non si rendeva mai conto se stava bollendo oppure no, e questo era uno dei mille handicap che tormentavano la sua esistenza ..."
Da Polvere negli occhi

E' risaputo che gli Inglesi hanno assunto il tè come loro bevanda nazionale, anche se gli dedicano un tempo inferiore rispetto ai più tradizionalisti Giapponesi o ai Cinesi - che bevevano il tè molto prima del XVIII secolo, epoca in cui noi Europei non britannici, l'abbiamo scoperta.

Sono cinque le principali categorie di tè:

i tè bianchi, che hanno fatto di recente la comparsa nei negozi o sugli scaffali di alcuni supermercati, e sono prodotti in piccola quantità in Cina e Sri Lanka;i tè gialli, molto rari;i tè verdi, coltivati per lo più in Cina e Giappone;i tè Oolong, originari di Formosa e detti anche tè semifermentati;i tè neri, i più comuni e diffusi, le cui varietà sono familiari alla gran parte di noi occidentali.Sono almeno 18 i Paesi che nel mondo coltivano la Camelia Sinensis, la pianta da cui deriva il tè.


E sembra sia difficile, se non impossibile, descrivere le innumerevoli fasi di lavorazione per ottenere foglie arrotolate, appallottolate, sminuzzate, tritate e tutte quelle mille sfumature sottili di fabbricazione che ci donano tonalità, colori e sapori.

Nel rituale inglese del tè, ogni ora deve avere un tè diverso, così come ogni piatto.
Per riportare un esempio, la Tea Council Ltd e l'Academy of Food and Wine - che hanno pubblicato alcuni consigli di degustazione, propongono l'English breakfast, miscela tradizionale di tè neri, per i piatti più vari - dal bacon alla torta di mele.

I tè dello Sri Lanka invece sono adatti ai sandwich con cetrioli, ai crostini al pomodoro, ai dessert agrumati, come la crema a base di limone e uova.

venerdì 26 dicembre 2008

Colazione a Torquay


Colazione a Torquay

Tutte le mattine, Ashfield, casa natale di Agatha Christie, si risveglia al tintinnare della prima tazza di tè servita nella camera da letto padronale da una cameriera con grembiule e cuffietta inamidati.

Qualche anno dopo, la scrittrice, tornata insieme con marito e figlia nella pace incantata della propria dimora d’infanzia, introdurrà il rito del tea for dogs ,il tè per i cani, dando ai fedeli amici il permesso di saltare sul suo letto e voltolarsi, in totale spregio della bevanda forte e zuccherata contenuta nella preziosa tazza Wedgwood.

Sia nella natia Ashfield, sia, in seguito a Greenway House, la bella residenza di Agatha sulle rive del fiume Dart, la colazione tradizionale è servita nel breakfast room, separato dalla sala da pranzo.

Sul ripiano della credenza si dispongono le pietanze calde, in recipienti chiusi da un coperchio adeguato, e - accanto – si sistemano piatti e coperti di cui i commensali si servono quando entrano nella stanza. Si evita quindi il servizio in tavola, e questa scelta dà al primo pasto della giornata, un tono meno formale.


Ognuno può decidere in base ai gusti e all’inclinazione del momento: i più affamati potranno gettarsi su una ricca porzione di uova strapazzate, salsicce e funghi, mentre altri, come se fossero restii ad abbandonare una notte cullata dai sogni, proseguiranno la lettura di un romanzo iniziato la sera prima.

Agatha mostra di seguire entrambe queste attitudini: l’unica e quindi preziosissima, documentazione in proposito mostra la scrittrice mentre si abbandona, in perfetta solitudine,ai piaceri di un breakfast decisamente abbondante.

La foto è stata scattata in uno dei suoi numerosi soggiorni in Iraq, dove collabora agli scavi archeologici del secondo marito, Max Mallowan.

Agatha è sul terrazzo della sua casa, sotto un sole cocente che non la disturba affatto. Si appresta a far onore ai crostini imburrati e a una tazza di bevanda che preferiva al the, definito da Poirot il veleno degli inglesi.
Particolare rivelatore, un libro è appoggiato alla caffettiera, permettendole così di dedicarsi contemporaneamente alle sue due passioni.

Quanto ho riportato è tratto da un delizioso libro corredato da favolose immagini e ricette di cucina.
Il libro è questo: Creme e Crimini di Anne Martinetti – Francois Rivière, Sonzogno Editore.

mercoledì 24 dicembre 2008

La vita che desideri



E se non puoi la vita che desideri, cerca almeno questo,
per quanto sta in te non sciuparla nel troppo commercio con la gente,
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro in balìa
del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti
fino a farne una stucchevole estranea.

Costantinos Kavafis

Buon Natale a tutti!

martedì 23 dicembre 2008

Banali verità

Leggo su Meditare.net quanto segue:
"La cultura esige, innanzitutto, il rispetto della verità, che è intelligenza.

Mi è capitato poc'anzi di osservare in un quotidiano on line la foto di un alto prelato che ostentava disinvoltamente una splendida croce d'oro.

Ma la vera croce non fu mai d'oro.

Coloro che l'indossano come monile distintivo dovrebbero cominciare a sostituirla con una più acconcia, quindi disfarsene e donarne i proventi ai disagiati, ai bisognosi, agli umili.

Qualora l'avessimo dimenticato siffatta impellenza si chiama altruismo, compassione ed implica il tentativo strutturale e non episodico di emancipare individui o famiglie sprovviste di mezzi.

Ebbene, nel momento stesso in cui un numero sempre più cospicuo d'indigenti e precari lottano per sopravvivere, codesti personaggi non lesinano d'accumular beni su beni.

Ma attenzione, perché gli abiti monastici, nonché i simboli che sovente inopportunamente li adornano, non sono carismi spirituali. Bensì distintivi di una missione culturale. Ciò che conta è il comportamento reale. Nascondersi dietro l'apparenza di una divisa è come camuffarsi. Agli occhi di "Dio" è solo un ostacolo.
Come definireste coloro che antepongono il denaro agli esseri umani? E purtroppo alcuni religiosi lo fanno, eccome se lo fanno.

Checché dicano, qualunque cosa abbiano la sfacciataggine di predicare, adorano innanzitutto il Dio denaro.

Temo che così facendo l'acqua benedetta potrebbe infine esaurirsi.


La premiata ditta "preti & c." – è solo un modo di dire; non bisogna generalizzare; nutrire comunque riguardo – onora un Cristo sui generis. Ma i fanatici dalla doppia morale avranno sempre meno voce in capitolo."

salius

lunedì 22 dicembre 2008

Un risveglio ... poetico


....
Ognuno è sorto dal suo giaciglio,
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.

Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua sulla siepe:
sembra la terra prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa:
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.

O ciaramelle degli anni primi,
d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;

che non ancora si pensa al pane,
che non ancora si accende il fuoco:
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.

Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;

sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!

(Giovanni Pascoli)

domenica 21 dicembre 2008

Un altro rekord italiano

Leggo ora che abbiamo raggiunto un ennesimo rekord.


"L'Italia ha conquistato un nuovo record mondiale per il proprio parco di 'auto blù, che ha raggiunto le 607.918 unità.

È quanto emerge dallo studio condotto da Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani con 'Lo Sportello del Contribuente che ha analizzato il parco auto esistente, sia proprie che in leasing, in noleggio operativo ed in noleggio lungo termine, presso lo Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici e Società misto pubblico-private, Società per azioni a totale partecipazione pubblica.

In soli due anni, in Italia, si è passati da 574.215 a 607.918 auto blu, un aumento del 6% in soli due anni.

la legge del 1991 che limitava l'uso esclusivo delle auto blu ai soli Ministri, Sottosegretari e ad alcuni Direttori generali, si sono sempre proposte regolamentazioni e tagli, mai effettuati.

La classifica dei paesi che utilizzano le 'auto blù vede oggi al comando l'Italia con 607.918 seguita dagli USA con 75.000, Francia con 64.000, Regno Unito con 55.000, Germania con 53.000, Turchia con 52.000, Spagna con 42.000, Giappone, con 31.000, Grecia con 30.000 e Portogallo con 23.000.

«In Italia gli amministratori pubblici hanno superato ogni limite - sostiene Vittorio Carlomagno, presidente Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Basterebbe una norma che stabilisse il limite di cilindrata delle auto blu per ridurre drasticamente il parco auto, sostenere le industrie automobilistiche italiane e incrementare l'utilizzo di prestigiose utilitarie italiane come la Grande Punto»."

Beati coloro che ...

"Beati coloro che hanno letto molto durante l’infanzia perché loro, forse, non sarà mai il regno dei cieli; ma potranno accedere al regno dei cieli degli altri, e lì apprendere i molti modi di uscire dal proprio inferno grazie alle strategie non fittizie dei personaggi di finzione."
(Rodrigo Fresàn - I giardini di Kensington)

Nel corso di una lunga notte invernale Peter Hook (celebre autore di romanzi per ragazzi) racconta al piccolo Kaiko Kei la strana vita di Sir James Matthew Barrie, creatore di Peter Pan e difensore dell'idea di un'infanzia eterna come forma di arte e di redenzione.
È solo l'inizio di un romanzo che investiga l'universo complesso dell'infanzia e il modo in cui le prime letture creano delle dimensioni parallele dalle quali spesso i piccoli lettori non fanno ritorno.

È una specie di romanzo gotico-pop, un affresco storico (con tanto di apparizioni di personaggi come Kubrick, Twiggy, i Beatles, Bob Dylan) e una meditazione sulla natura della memoria e sul mito di Peter Pan, diventato una modalità esistenziale planetaria a partire dagli anni '60.

sabato 20 dicembre 2008

Sempre soffiava il vento





Lo so è Natale e queste righe sono poco natalizie, ma quest'anno, mi sembra anche uno strano Natale ....


"Sempre soffiava il vento e sempre faceva buio
e sempre la voce lontana arrivava ai suoi orecchi:

“una vita intera”… “una vita intera…”.

Sul muro di fronte le ombre degli alberi danzavano come
su uno schermo.”

(Odisseas Elitis "Diario di un invisibile aprile")

venerdì 19 dicembre 2008

Rituali di Buon Augurio del periodo delle feste


Un peu de divertissement ......
Questi sono "suggerimenti" scovati in rete e su "Specchio magico" di Devon Scott :


L'Acchiappasole
Occorrono molta pazienza e un po' di abilità manuale. Procuratevi del filo di seta giallo oro, molto robusto, e infilatevi cristalli e perline di tutti i colori, creando una specie di reticolo, che appenderete poi ad una finestra della vostra casa, nella stanza che più vi piace, il giorno del Solstizio d’Inverno. Attirerà fortuna per tutto l'anno.

Il Filo argentato
Ricordatevi di appenderne almeno uno nella vostra casa o sull'albero di Natale. Secondo la leggenda, quando Maria e Giuseppe furono costretti a fuggire dal re Erode verso l'Egitto, si rifugiarono per riposare in una grotta. Subito comparve un ragno, che si mise a tessere a grande velocità una complicatissima tela a chiudere l'ingresso. Poco dopo arrivarono i soldati, lanciati sulle orme dei fuggitivi; videro l'ingresso della grotta, tutto coperto di ragnatele, ma non guardarono dentro, pensando che eventuali persone rifugiate nella grotta avrebbero certo rotto la ragnatela per entrare. Fu così che un ragno salvò Gesù ed un filo argentato commemora l'atto d'amore.

La Stella di Natale
Compratene una per voi e regalatene ai vostri cari. In Messico di chiama flor de la noche buena; la leggenda racconta che un bambino, troppo povero per portare un dono davanti a Gesù Bambino nel Presepe, si mise a piangere disperatamente: tutti portavano qualcosa tranne lui. Dalle sue lacrime nacquero questi meravigliosi fiori, che egli portò in chiesa davanti alla greppia. Non costano molto e ci ricordano che a Natale valgono più i regali fatti per amore che non le cose preziose.

La candela di Natale
La sera della vigilia di Natale, prima di andare a dormire, lasciate sul tavolo della cucina un bicchiere di latte, un dolce e una candela accesa: aiuteranno Babbo Natale a trovare la vostra casa e lo spuntino lo rifocillerà nella notte per lui più faticosa di tutto l'anno.

Il vecchio Calendario
La sera del 31 togliete tutti i vecchi calendari che avete in casa. Bruciateli tutti la mattina di Capodanno, dopo averli avvolti in lana rossa, dicendo:
"Anno vecchio brucia qua e la sfortuna se ne va".

Purificazione della casa
Per ripulire la vostra casa dalle negatività dell'anno che sta finendo, procuratevi un ramo o un pezzetto di legno di abete, 12 chiodi di garofano, 12 bacche di ginepro, una candela bianca e una nera.
Prima della mezzanotte del 31 dicembre stendete un telo per terra vicino alla vostra porta d'ingresso, poi accendete la candela nera, quella bianca e il legno d'abete con i chiodi di garofano e le bacche di ginepro (che avrete preparato già a pezzetti in un incensiere con relativo carboncino d'accensione). Lasciate consumare fino alla fine.

Addio alla negatività
Per allontanare la negatività accumulata durante l’anno, prendete una pietra della grandezza di un pugno. In una delle sere tra Natale e il 31 dicembre mettetevi in un posto tranquillo, dove sapete che non verrete disturbati. Accendete una candela nera e concentratevi sulla pietra. Ripercorrete l’anno che sta per finire e pensate a tutte le cose cattive che vi sono successe, immaginando che finiscano tutte dentro la pietra. Se vi può essere utile, scrivete tutte le cose negative sopra un foglio di carta. Lasciate consumare la candela. Poi prendete la pietra (avvolta dal foglio di carta se ne avete usato uno) e seppellitela in un prato lontano da casa vostra, oppure gettatela in acqua corrente con i resti della candela.


I tortini dell'amore
Pare che l'origine di questi tortini sia araba e che siano stati portati in Occidente dai Crociati. Sono citati in alcuni Grimori rinascimentali come cibo per l'amore, ma nel 1200 venivano fatti a forma di greppia e se ne mangiava uno ogni sera per ognuna delle dodici notti delle feste natalizie. Allora veniva usata carne di manzo mescolata a miele e spezie. Ve ne do una versione più moderna (del 1700), con ingredienti che in parte rispettano gli originali, in parte potranno lasciarvi perplessi per le insolite mescolanze.
Mescolate due etti di salsiccia (o di carne di manzo tritata) ben cotta con un pizzico di zenzero, due etti di cedro e arancia canditi, un uovo intero, una tazza da the di latte, due tazze di farina bianca, mezza tazza di zucchero bruno di canna, mezza tazza di caffè molto concentrato e cinquanta grammi di cioccolato fondente.
Formate circa 15 ciambelline, che cuocerete sulla placca del forno fino a quando saranno ben dorate. Mangiatene qualcuna, insieme al vostro partner, durante la cena del 31 dicembre: il vostro amore reciproco sarà ardente e fedele per tutto l'anno.

L'incantesimo della seduzione
Se siete stanchi di essere soli, eccovi un infallibile richiamo amoroso.
Prendete un foglio di carta del vostro colore preferito e al centro mettete il vostro nome e cognome, subito sotto la vostra data di nascita. Se invece volete attirare qualcuno che conoscete già, ma vi ignora, scrivete sotto il vostro nome e cognome anche il nome e cognome della persona amata, sotto ancora la sua data di nascita e di seguito, sulla stessa riga, la vostra.
Tutto intorno, a contenete le scritte, disegnate il classico cuore.
Poi riscrivete sulle righe le stesse cose per altre tre volte: alla fine non si capiranno più le parole, che saranno dei ghirigori. a questo punto piegate il foglio fino a dove è possibile, poi bruciate alla fiamma di una candela rossa il blocchettino di carta, facendo attenzione a non bruciarvi anche le dita. Mentre brucia dite per nove volte:
"Viva è la fiamma, ardente il fuoco, rosso è il colore del desiderio". Spegnete la candela con due dita bagnate e ripetete il rito per nove giorni di seguito, sempre alla stessa ora, iniziando dal 21 dicembre.

giovedì 18 dicembre 2008

Il giornale dei gatti


I gatti hanno un giornale
con tutte le novità
e sull'ultima pagina
la "Piccola Pubblicità".

"Cercasi casa comoda
con poltrone fuori moda:
non si accettano bambini
perché tirano la coda".

"Cerco vecchia signora
a scopo compagnia.
Preferisco referenze
e conto in macelleria".

"Premiato cacciatore
cerca impiego in granaio".
"Vegetariano, scapolo,
cerca ricco lattaio".

I gatti senza casa
la domenica dopo pranzo
leggono questi avvisi
più belli di un romanzo:

per un'oretta o due
sognano ad occhi aperti,
poi vanno a prepararsi

per i loro concerti.

(Gianni Rodari)

Mistero, magia e indipendenza del gatto


Nel mito e nella tradizione il gatto impera.

Nell'antico Egitto deteneva addirittura una posizione di particolare privilegio: la dea Bastet veniva raffigurata in forma di gatto, o almeno con la testa di gatto.

Nella tradizione popolare scandinava, il gatto era associato a Freya, la dea della fertilità.

Nella tradizione indù, Shasti, la dea del parto, è raffigurata a cavallo di un gatto.

Questi felini, i gatti, compaiono di frequente nelle favole dei fratelli Grimm e in vari altri racconti popolari di tutto il mondo.

Ad essi sono stati attribuiti moltissimi tratti, spesso contraddittori: curiosità, nove vite, indipendenza, intelligenza, imprevedibilità e capacità terapeutiche, sono solo alcuni.

Si riteneva che il gatto di una strega fosse in genere un suo familiare, uno spirito in forma felina, e che - le stesse streghe, potessero assumere assumere le sue sembianze.


I gatti fanno ritorno a casa dopo il tramonto, anche se la maggior parte degli esseri umani vorrebbe che si comportassero tutto il giorno come animali domestici tradizionali: se non rispondono a questa nostra pretesa, li consideriamo indifferenti e asociali.

Dal momento che il ospita tutte le nostre paure e le cose che gli esseri umani non vogliono e non possono vedere, il gatto ha finito per essere associato con la magia ed il mistero.

La verità è che il gatto ha nella retina oculare un numero maggiore di bastoncelli che intensificano la percezione visiva, consentendogli di vedere benissimo al buio.

mercoledì 17 dicembre 2008

Non è la bellezza ...


Non è la bellezza ciò da cui si dovrebbe necessariamente partire?

E' un giacinto azzurro che attira col suo profumo Persefone nei regni sotteranei della conoscenza e del destino.
Si può senza dubbio chiamare "esorcismo" questo attrarre, per mezzo di figure, lo spirito, che di certe cose ha sempre una grande paura.

Questo fanno i miti.
Questo dovrebbe fare la poesia.

Se il lettore non cade nel precipizio di Persefone ma si limita a guardare il giacinto di lontano, vuol dire che lo scrittore non ha scritto abbastanza bene (o che i regni sotterranei non gradiscono qull'ospite).


Cristina Campo

martedì 16 dicembre 2008

Citazione


Il mio migliore amico è lo specchio, perché quando piango non ride mai.

(Jim Morrison)

Chi è Alice Miller



Il post sotto questo è tratto da"Il risveglio di Eva" di Alice Miller.

La Miller nata in Polonia nel 1923 - è stata psicoanalista, ha vissuto e lavorato a Zurigo dove ha compiuto la sua formazione psicoanalitica e per vent'anni ha esercitato come analista, didatta e supervisore.

Una sua frase da "La persecuzione del bambino":

" ... Ritengo che il mio compito consista nel sensibilizzare l'opinione pubblica nei confronti delle sofferenze della prima infanzia, e tento di farlo su due piani diversi, in entrambi i casi cercando di parlare al bambino che un tempo ogni lettore adulto è stato ...

Nella seconda parte descrivo l'infanzia di una ragazza drogata, di un capo politico, e di un infanticida - tutti e tre - da bambini, vittime di pesanti umiliazioni e gravi maltrattamenti ..."

Si chiede Alice Miller: Se nel cosiddetto "paradiso dell'infanzia", non appena disattende gli ordini dei genitori, il bambino viene duramente castigato e per di più gli viene fatto credere che ciò avviene soltanto per il suo bene, che cosa ne sarà della rabbia e del dolore che il piccolo è costretto a reprimere nel momento in cui deve accettare che il maltrattamento sia addirittura un atto benefico?

Da qui prende spesso origine una spirale di violenza che la Miller cerca di spiegare come possa venire spezzato.

Chiaramente non si tratta di un ceffone che ogni tanto può scappare ad ogni genitore, ma ad una violenza corporea e verbale vera e propria.

L'infanzia vissuta e la depressione

Molti psicoterapeuti di vario orientamento escludono dal lavoro con il paziente il tema dell’infanzia o lo sfiorano solo occasionalmente quando non è possibile evitarlo.

Moltissimi sono addirittura convinti che occuparsi dell’infanzia sia dannoso poiché il paziente tenderebbe a viversi come vittima e non già come la persona adulta che è ormai diventato.

Anch’io penso che la persona adulta sia responsabile del proprio comportamento e che soltanto negli anni dell’infanzia sia stata una vittima inerme.

Ma sono altrettanto convinta del fatto che prendere coscienza della propria storia può aiutare a capire perché ci si sente ancora sempre una vittima bisognosa di aiuto.

Grazie alla psicoterapia il paziente può imparare a capirlo, abbandonando di conseguenza l’atteggiamento vittimistico.

Alcuni affermano di essere stati aiutati dalla terapia comportamentale a liberarsi dalle proprie angosce e non posso che congratularmi con loro.

Ma ciò non riesce a tutti, né tutti riescono a vincere la depressione grazie ai farmaci poiché, per loro, più che superare la depressione è importante capire chi sono e per quale motivo sono diventati quelli che sono.

Per queste persone lavorare sull’infanzia equivale a scoprire una fonte inesauribile di informazioni, ed è deprecabile che oggi la formazione psichiatrica preveda che il trattamento sia incentrato sulla prescrizione di farmaci.

Inutile dire che il paziente accoglierà come una benedizione la dose regolare di dopamina qualora il suo cervello non produca questa sostanza chimica.

Rimarrà però senza risposta un interrogativo; perché il suo cervello non la produce? E in quella risposta può essere racchiusa la chiave della vera guarigione.

Alice Miller - "Il risveglio di Eva" - Raffaello Cortina Editore

lunedì 15 dicembre 2008

I ragazzi della via Pal


Quando ero bambina, avevo un amico della mia età, Stefano. I genitori erano amici dei miei e la famiglia era di quelle "per bene"; la nostra amicizia non conobbe ostacoli per anni.

Frequentammo persino la terza elementare insieme. E fu lì che scoprii che Stefano non amava leggere.
A me, che non vedevo l'ora di rincantucciarmi da qualche parte con un libro in mano, sembrò all'improvviso un alieno. Poi tutti, insegnanti, genitori, nonni, zii, ecc... da quando si era notato che a scuola faceva errori di grammatica, lo supplicavano, rimbrottavano ... affinché leggesse.

Ogni volta lui rispondeva che non è che non gli piacesse leggere, a lui piaceva un libro solo: "I ragazzi della via Pal".

Non mi incuriosì mai quel libro, tranne quando, più grande, mi venne l'idea di comprarlo per mia figlia. Glielo leggevo ogni sera e tutte e due ci innamoravamo sempre più di questa storia.

Dal sito dell'editore Einaudi:

"Questo libro, un classico della letteratura per l'infanzia, regalo obbligato in occasione di influenze e morbilli, riletto oggi potrebbe essere dedicato ai ragazzi di tutte le periferie del mondo, a tutti coloro che non hanno un posto dove stare a giocare.

Le storie di Nemecsek, il gracile figlio del sarto; di Boka, il più forte del gruppo, e degli altri compagni divisi tra Camicie rosse e via Pal, ci conquistano e ci commuovono forse proprio per la loro inattualità.

La guerra a colpi di sacchi di sabbia, tra rischiosi appostamenti, serissimi piani di attacco, eroismi autentici e piccole rivalità, propone un epos, così autentica e per questo così lontana dalla sensibilità del nostro mondo di giochi virtuali. E mostra nel drammatico finale come la dura legge della vita prevalga su qualsiasi contesa, perché a nulla servirà il riscatto di Nemecsek, quando malato andrà sul campo per l'ultima battaglia."

Scrive ancora lo psichiatra-sociologo Paolo Crepet:

' Oggi gli adolescenti non giocano più fuori, ma dentro.

Mai davvero soli tra loro, tra pari.'

I ragazzi della via Pal crescevano svelti, i nostri lentamente.'

Qui sta forse l'ultimo straordinario insegnamento di Molnàr, quasi un presentimento: Salvate i vostri adolescenti futuri, dando centralità alle loro vite, ai loro diritti, alla loro voglia di provarci da soli con il loro formidabile talento'

fiabe e fiocchi di neve


Si dice che, quando dal cielo scende un leggero nevischio, quando le festività natalizie accendono la città di lucine colorate e quando si appendono ai camini le calzette a righe, sia molto più divertente leggere e ascoltare le fiabe.

In realtà ci sono libri che raccontano storie così ricche di calore che si potrebbero cominciare a Natale e continuare fino a quello successivo, ed anche oltre ...

La fame di storie è connaturata all'uomo.

Tutti avvertiamo questo bisogno, ma ci sono tanti modi per soddisfarlo, oltre alla narrativa.

Ci sono il cinema, il teatro, i pettegolezzi della vicina, le conversazioni familiari in cui uno racconta qualcosa a qualcun altro, ecc...

domenica 14 dicembre 2008

Le fate dei fiori

Le fate sono state e forse ancora oggi sono considerate gli spiriti guardiani dei boschi e dei giardini.

Da bambina amavo molto i libri con le fate, fiabe - quasi sempre illustrate - dove la fata con la sua bacchetta magica, riportava il lieto fine, ripristinando il valore della Giustizia.
Ad ogni tipo di fiore è assegnata una fata guardiana.


Per esempio, la fata della rosa è graziosa, fragile e aureolata di una dolce luce: si può invocare per realizzare i desideri d'amore e gli affetti.

La fata del ciclamino è di carattere dolce e riservato e può essere chiamata per propiziare benessere, energia, meditazione, sicurezza.

La fata della margherita è invece solare, cordiale e amabile: dona amore, vitalità, gioia di vivere; a differenza di quella del giglio, altera e taciturna, alla quale tuttavia si può chiedere sostegno nello studio, nella carriera, nel lavoro, nella volontà.


La fata del tulipano è vanitosa e poco socievole, ma può essere utile per i più ambiziosi.

La fata dell'orchidea, bellissima, sensibile e poetica, propizia il talento e la riuscita di artisti, scrittori, poeti.

Romantica e svolazzante, ma non frivola, è la fata del papavero, che protegge la casa e le persone.

Nobile e generosa, quella del geranio che difende dall'invidia.

Orgogliosa, passionale, volitiva e selvaggia è la fata della lavanda che allontana gli spiriti maligni e protegge da streghe e sortilegi.


Le fate dei fiori si dedicano dunque interamente al mondo vegetale, a tutte le specie di erbe, piante, fiori - che rivitalizzano costantemente grazie alla loro energia eterica e spirituale. Esse aiutano a trasmutare gli elementi chimici e catalizzano l'energia dell'atmosfera, affinché i fiori possano assimilarla.

Cicely Mary Barker




Cicely Mary Barker è nata nel 1895 a Croydon, a sud di Londra, figlia di Walter Barker e Mary Eleanor Oswald. A causa dei suoi problemi di salute (epilessia) venne educata in casa e imparò da sola a disegnare e dipingere.

La sua famiglia la sostenne molto e venne ammessa fra i membri della Croydon Art Society.

Il primo lavoro di Cicely pubblicato fu una serie di cartoline, quando aveva solo sedici anni.

Fu fortemente influenzata dai Preraffaelliti e, come loro, cominciò a credere nella "verità della natura".


Per creare i libri delle Fate dei Fiori dipingeva dal vero quando poteva, a volte facendosi addirittura aiutare dal personale di Kew Gardens per trovare e identificare gli esemplari delle piante.

Anche per ritrarre le fate si ispirò alla realtà: i modelli erano i bambini che frequentavano la scuola materna della sorella.

Cicely creò i costumi delle fate da far indossare ai piccoli e costruì ali in miniatura con ramoscelli e garze.
Terminati i disegni, componeva le poesie.

Sono stati i suoi libri Le fate dei Fiori che portarono a Cicely Mary Barker una vera adorazione da parte del pubblico.

I suoi accurati disegni botanici nell'amato stile del movimento preraffaelita e i "bambini-fate", ispirati dai bambini che conosceva, portarono alla nascita delle Fate dei Fiori, che tutti apprezziamo ed amiamo.
Cicely morì pacificamente il 16 Febbraio 1973, all'età di 77 anni.

Yule, Solstizio d'Inverno






Stiamo arrivando al Solstizio d'Inverno, quando la notte è la più lunga dell'anno: da questo punto in poi il Sole inizierà la sua lenta risalita sull'orizzonte e le ore di buio perderanno progressivamente terreno rispetto a quelle di luce.

Il Solstizio d'Inverno è un giorno molto speciale: fin dai tempi più antichi si dice che in questa data sia possibile un evento eccezionale fortuito, la realizzazione di un importante desiderio.

Diceva un epigramma latino: "Auree monete procuri dicembre, alla tua festa di Saturno."

Nell'antica festa dei Saturnali, tenuta il giorno del Solstizio d'Inverno, era lecito ciò che normalmente era illecito, lo schiavo poteva burlarsi del padrone e il gioco d'azzardo era permesso.

Si festeggiava il ritorno dell'Età dell'Oro in cui aveva regnato Saturno e dove la gente viveva felice, senza povertà né malattie, senza guerre e nella piena abbondanza dei frutti della Terra.

La statua di Saturno veniva liberata dalle fasciature che la celavano per il resto dell'anno e veniva esposta per tutto il periodo dei festeggiamenti.

Saturno era in origine un dio saggio e benefico che giunse in Italia prima della fondazione di Roma e regnò assieme a Giano (il signore delle porte e degli inizi).

Saturno insegnò l'agricoltura e le altre arti alle popolazioni italiche, dando appunto inizio all'Età dell'Oro.

Questo mito è molto diffuso e, anche se con nomi diversi, molte tradizioni esoteriche narrano di un uomo barbuto che giunse dal mare per dare inizio ad una Età dell'Oro; ad esempio nelle Ande questo dio viene chiamato Viracocha, in Egitto è Osiride, il cui regno sarà ristabilito da Horus.

Come tutti questi eroi divini, anche il Saturno italico - narra la leggenda - all'improvviso scomparve; al suo posto subentrò Crono, il Tempo, il cui falcetto non servì più per mietere le messi, ma per evirare il padre, per uccidere cioè, la vecchia scienza.

sabato 13 dicembre 2008

Un abete quasi vero


La mamma aveva molti ricordi della sua infanzia. Era stata un'infanzia molto povera.
La vigilia di Natale - racconta la mamma - aspettavamo che in piazza finisse la vendita degli abeti.

Prima che arrivassero gli spazzini a ripulire tutto, i miei fratelli ed io raccoglievamo i rami di abete gettati via dai venditori.

Poi correvamo a casa e con del filo di ferro, stringendo e legando i rami, mettevamo insieme un all'albero quasi vero.
Gli ornamenti per l'albero erano già pronti.
Li avevano preparati nelle sere precedenti la mamma e i suoi fratelli.
Con il cartone colorato avevano ritagliato stelle, campane e angeli; con le cartine luccicanti di stagnola avevano costruito porta-candele e festoni.
E la sera della vigilia addobbavano l' abete appendendo anche mandarini, caramelle e torroncini.
Era un albero meraviglioso! - dice la mamma.

Racconto di N. Vicini

La Norvegia di Liv Ullman

Sempre dal libro "Cambiare" - ricordi e sensazioni di Liv Ullman.

"In che paese vivo! Montagne incappucciate di neve e l'odore caratteristico dell'erica e delle paludi. Un soffio di aria fresca che giunge da acque purissime o da fiordi che si insinuano nei luoghi più strani e nascosti. Dove d'estate il sole non cala mai, sfiora con un bacio l'orizzonte prima di levarsi di nuovo e riprendere il suo viaggio attraverso il cielo.

La gente che rivela spontaneamente ciò che sente, che parla con voci cantanti e vivaci come se non potesse contenere la gioia che prova per essere uscita dall'eterna oscurità dell'inverno.

La Norvegia del Nord, quando il termometro sale a più di trenta gradi e io resto nuda sul letto, senza coperte, con la luce che batte sul vetro della finestra tutta la notte.

Ho viaggiato in ogni parte del mondo, ma sono proprio certa che non ho mai avuto sensazioni più forti di quelle che provo ora.

I contrasti qui sono enormi. Il mare senza fondo .... Le montagne torreggianti da ogni parte, selvagge e nude, più vicine al cielo di quanto non avessi mai creduto che le montagne potessero arrivare.
Sentire il vento e il sole sul volto - e, nello stesso tempo la fragranza degli alberi e delle rocce e della terra sulla quale cammino che mi entrano nella pelle - questo fa parte di ciò che cambia la mia vita"

Un Natale in Norvegia


Liv Ullmann nasce a Tokyo nel 1939 da genitori norvegesi. Ha ricevuto la propria formazione d’arte drammatica a Londra, grazie alla madre che acconsentì ad assecondare la vocazione della figlia.

La sua prima apparizione sul palcoscenico fu al Rogaland theatre di Stavanger in Norvegia, quando interpretò “Il diario di Anna Frank”, nel ruolo di protagonista.

Il suo debutto cinematografico risale al 1959, in “The wayward girl” di Edith Carlmar, al quale seguirono altre apparizioni in film svedesi e norvegesi.

Ma a segnare l’inizio di una folgorante carriera fu il suo incontro con Ingmar Bergman nel 1966, anno in cui, insieme a Bibi Anderson, interpretò uno dei capolavori del regista svedese, ovvero “Persona”. In quell’occasione non nacque solo una collaborazione artistica ma una relazione dalla quale nacque una figlia.

Alla figlia - Linn - Liv Ullman dedicò un suo libro : "Cambiare " edito in Italia da Arnoldo Mondadori S.p.A. anno 1977.

..... Il Natale è uno dei miei ricordi migliori. Seduta nella cattedrale con le note dell'organo che penetrano in tutti gli angoli del grande edificio. Al ritorno percorrevamo tutte intirizzite la Munkegaten, che allora era ancora acciottolata. C'erano altre famiglie al nostro fianco animate dalla stessa felicità che provavamo noi.

Poi a casa. E l'odore del maiale arrosto e dei crauti. L'attesa nella stanza buia - dove mia sorella e io sedevamo per terra trepidanti perché sapevamo che nel salotto stavano dando gli ultimi tocchi all'albero per la festa. Il fruscio della carta e passi rapidi che annunciavano chissà quali segreti.

E quando, finalmente, la porta si apriva e noi, le bambine, vedevamo l'albero di Natale per la prima volta, in mezzo alla stanza, tutto luccicante di candeline quasi svenivamo dalla gioia.

La mamma sedeva al piano: Lei che era molto più giovane di quanto non capissi. Piena di desideri che soltanto oggi riconosco, quando è troppo tardi per poterli condividere.

Favole raccontate sulla sponda del letto. Cioccolata calda, pane e burro con le banane e la gelatina di mele. Una donna seduta, china su un libro, la testa di corti capelli castani voltata un poco dall'altra parte. Ogni tanto la alza e mi sorride.

Quella era felicità.

venerdì 12 dicembre 2008

Han sradicato un albero


Han sradicato un albero. Ancora stamani
il vento, il sole, gli uccelli
l’accarezzavano benignamente. Era
felice e giovane, candido ed eretto,
con una chiara vocazione di cielo
e un alto futuro di stelle.
Stasera giace come un bimbo
esiliato dalla sua culla, spezzate
le tenere gambe, affondato
il capo, sparso per terra e triste,
disfatto di foglie
e in pianto ancora verde, in pianto.
Questa notte uscirò - quando nessuno
potrà vedere, quando sarò solo -
a chiudergli gli occhi ed a cantargli
quella canzone che stamani il vento
passando sussurrava.

(Rafael Alberti)

Sulle amicizie femminili ...


Edito da La Tartaruga edizioni – nel 2005 è uscito un saggio, per me molto piacevole, scritto da Vanessa Curtis “Virginia Woolf e le sue amiche”.

Un saggio ben documentato che aggiunge un altro tassello alla personalità della scrittrice.: la sua capacità di intessere amicizie intense e durature con donne altrettanto originali e insolite.

Incontri che resero la sua vita più ricca di stimoli e sentimenti, che ispirarono i personaggi descritti nelle sue opere, che furono sostegno nei momenti difficili e fonte di divertimento nella vita di tutti i giorni.

A cominciare dalla sorella Vanessa, più materna ed equilibrata di lei, che fu per Virginia oggetto d’amore per tutta la vita.

Esuberante e vitale, Vita Sakville-West, aristocratica, scrittrice, eccellente giardiniera, si innamorerà a prima vista di Virginia, le scriverà lunghe lettere deliziose e intelligenti, trascinandola in un turbine di passioni, viaggi e avventure.

Virginia dedicherà a lei il suo capolavoro “Orlando”, creatura ambigua e seducente quanto la sua ispiratrice.

Una delicata amicizia venata di invidia per un talento che Virginia riconosce appieno la legherà alla scrittrice Catherine Mansfield, morta in giovane età

Anche la ribelle Dora Carrington, innamorata senza speranza di Lytton Strachey e suicida per amore, saprà inspirare alla Woolf compassione e tenerezza.

Accusata di affettuosa persecuzione, la compositrice e musicista Ethel Smyth all’età di settant’anni saprà superare l’iniziale diffidenza di Virginia e diventare un appoggio sicuro e uno sprone per il suo impegno femminista, non lesinando giudizi positivi e incoraggiamenti per opere controverse, quali “Le tre ghinee” e “Una stanza tutta per sé”.

Da queste pagine emerge un ritratto intenso e genuino di Virginia Woolf, colta nell’intimità e nei momenti più autentici.

Se stasera siamo qui

Se stasera siamo qui è stata una famosa canzone di Luigi Tenco, cantata poi da Mina.

E' anche il titolo del nuovo libro di Caterine Dunne.
style="font-family:georgia;">"Se stasera siamo qui" si ppuò definire il libro-elogio dell'amicizia fra donne. Quattro donne che, fra alti e bassi, rimangono amiche per 25 anni.

Quindi, aggiungo io, l'amicizia tra donne, che potrebbe essere un dolcissimo supporto nella vita, a volte, evidentemente, esiste.

Ma quasi sempre tra le donne (anche quelle che si dichiarano amiche) esistono rivalità, gelosie, invidie.

Secondo me i più grossi tradimenti vengono proprio dall'amica: l'amica a cui hai confidato le tue cose più intime, può venderti per lo sguardo di un uomo, o per apparire protagonista, o perché non sopporta i tuoi successi.

Anche il libro di Marcela Serrano "Noi che ci vogliamo così bene" parla di amicizia al femminile, amicizia che si prolunga nel corso degli anni, arricchendosi di confidenze, di riflessioni molto acute e attente sul rapporto donna-uomo.


I libri a cui ho accennato sono:

"Noi che ci vogliamo tanto bene" di Marcella Serrano - Feltrinelli editore

"Se stasera siamo qui" di Caterine Dunne - Guanda editore

giovedì 11 dicembre 2008

Nel segreto di una stanza


Ho riscoperto questa frase di Pascal:



“Un sasso gettato nell’oceano raggiunge e colpisce, con la sua forza d’urto, tutte e singole le gocce dell’oceano”.


Questo pensiero fa riferimento al rapporto uno-tutto, al potere di condizionamento che ha il singolo sulla società e la società sul singolo.


Siamo tutti misteriosamente collegati.



Chi eleva se stesso con comportamenti ispirati alla bontà, alla bellezza, alla ricerca del vero, in qualche modo, rende migliore l’intera società. Forse anche il cosmo.

E chi si degrada nel segreto di una stanza produce arcane risonanze negative nell’immenso oceano dell’umanità.

Il piccolo cane nero

Mi chiedo se Cristo avesse un piccolo cane nero tutto riccioluto e lanoso come il mio,
con due lunghe e seriche orecchie, un naso umido e rotondo e due teneri occhi marroni e scintillanti.


Sono sicuro, se lo avesse avuto, che quel piccolo cane nero avrebbe saputo sin dal primo istanteche egli era Dio; che non avrebbe avuto bisogno di alcuna prova della divinità del Cristo,ma che avrebbe semplicemente venerato il suolo su cui lui fosse passato.Ho paura che non lo avesse, perché ho letto come egli pregasse nell'orto da solo poiché tutti i suoi amici erano scappati, persino Pietro, quello detto "una roccia".
E, oh, sono sicuro che quel piccolo cane nero, con un cuore tanto tenero e caldo,non lo avrebbe lasciato soffrire da solo, ma spuntandogli da sotto il braccio, avrebbe leccato le care dita, strette nell'agonia.E, aspettandosi qualche coccola, ma incerto, quando egli fu portato via,gli avrebbe trottato dietro seguendolo fin sulla Croce.

Edward Bach (Le opere complete)

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mercoledì 10 dicembre 2008

Vanità



D'improvviso è alto sulle macerie il limpido stupore dell'immensità
E l'uomo
curvato
sull'acqua
sorpresa
dal sole
si rinviene
un'ombra.

Cullata e
piano
franta.

Giuseppe Ungaretti
Vallone,il 9 agosto 1917

(Da L'Allegria, Milano, Mondadori)

La fine della democrazia

La morte della democrazia non sarà opera di un assassno in agguato.

Più probabilmente sarà una lenta estinzione causata da apatia, indifferenza e denutrizione.

Robert M. Hutchins

martedì 9 dicembre 2008

Le fate


"Nella dimensione dei sogni e delle chimere -scrive H. Durville - sotto varie forme poetiche e affascinanti, le fate arricchiscono di mistero la vita ...

Ai giorni nostri la voce carezzevole delle foreste, la calma di un lago, sembrano far rivivere il profumo delicato delle antiche leggende che immortalano questi esseri amati e prestigiosi, le fate."


In Francia, la fata Avril vegliava sulle praterie, era amica di giumente, greggi, fanciulli e pastori, dei quali era considerata una sorta di beniamina.

In Provenza, le donne che non riuscivano ad avere figli si rivolgevano alla fata Esterelle.

Il popolo credeva inoltre all'esistenza di una fata singolare, una donna serpente chiamata Vouivre, caratterizzata da una preziosa gemma luminosissima incastonata nella fronte.

Nei Vosgi si tramanda l'antico ricordo di misteriose Dame Verdi,una specie di fate-sirene assai temute per il loro potere ammaliatore e particolarmente note presso il lago di Longemer.

La loro specialità consisteva nell'attirare con voce incantatrice chiunque si avventurasse di notte nelle loro vicinanze e una volta ghermito, l'incauto prescelto era posto al centro delle loro danze e diveniva oggetto degli scherzi e dei divertimenti più sfrenati, fino a quando, stanche del loro stesso gioco, scomparivano ridendo nelle profondità cupe del lago ...

Le fate si trovano presso tutti i popoli del Nord ed era antica opinione che la grandine e le tempeste non guastassero per niente i frutti della terra nei luoghi da esse abitati.

Le fate venivano la sera, al lume della luna e si trasportavano da un luogo all'altro con la velocità del pensiero, a cavallo di un grifone, di un gatto di Spagna o sopra una nuvola.

Si pensava che per un capriccio del loro destino, le fate erano cieche in casa loro, mentre disponevano di cento occhi in ogni altro luogo.

In Svezia - poi- si dice che se ne vedessero moltissime.

"Esse dimorano in oscure grotte e nelle parti più remote delle foreste, mostrandosi talvolta, parlando a coloro che vanno a consultarle e scomparendo in un baleno".

Le Fate, sempre secondo l'ermetista francese H. Douville, sono esseri fantastici nei quali sembrano perpetuarsi antichissimi ricordi di carattere magico e mitologico: dèe-madri, ninfe, druidesse, streghe.

Tutti questi appellativi con i quali furono designate in passato, sono un curioso monumento dell'antica divinizzazione degli oggetti fisici che ispirarono all'uomo la meraviglia oil terrore.

La credenza nelle fate, al di là delle successive metamorfosi, fu originariamente, e ancora rimane, una delle espressioni più gentili, naturali della nostra poesia.

Tra il buono e il malvagio, l'angelo e il demone, la leggenda scopre un altro essere: la Fata.

Tra il cielo e l'inferno, la leggenda crea un mondo - abitato dalle fate.

Tra la luce e le tenebre, la leggenda dà vita al crepuscolo, l'atmosfera fatata.

Finalmente è tornato il pettirosso

E finalmente, stamattina, mentre trafficavo in cucina, attraverso la finestra, ho visto il primo pettirosso.

Dicono che il pettirosso torni a primavera, ma nel mio giardino arriva tutti gli anni a novembre inoltrato.

Il pettirosso vanta una una quantità di miti e tradizioni popolari.

Secondo la leggenda più nota, il suo petto si colorò si rosso quando staccò una spina dalla corona insanguinata della testa del Cristo.

Per la tradizione più superstiziosa, il furto di un uovo di pettirosso era garanzia di un lungo periodo di sfortuna

Alcuni credono che vedendo un pettirosso a primavera sia necessario formulare un desiderio, prima che voli via, altrimenti non si avrà fortuna nell'anno successivo.

Il canto del pettirosso è un trillo gioioso: in parte ha lo scopo di consentire all'uccello di stabilire il proprio territorio. Due maschi nella stessa zona gonfieranno i polmoni e canteranno con tutta l'energia che hanno in corpo.

Ho sempre ammirato questa lotta che non è scontro fisico, ma gara di canto...

Il pettirosso depone un uovo di un caratteristicolo colore azzurro polvere. Entrambi i genitori partecipano all'allevamento dei piccoli, nutrendoli in media una volta ogni dodici minuti. Questo è necessario perché i piccoli nascono completamente implumi.

lunedì 8 dicembre 2008

Un lunedì di dicembre


Oggi, come ieri, è stata una giornata luminosa e limpida; fredda ma soleggiata.

Nella casa di fronte alla mia hanno illuminato quasi a giorno i davanzali e i contorni delle finestre.
E' bello.

Ma guardare il cielo in queste serate è ancora più bello: è un cielo limpido, pieno di stelle, con la luna crescente. Il mattino ci si sveglia e si vedono grandi brinate sulle siepi, sui prati e sulle auto parcheggiate.

Ancora aspetto che arrivi il pettirosso, è sempre arrivato puntuale in novembre.

Però ci sono le cinciallegre che amano i dolci, i merli che si ostinano a cercare nel prato qualcosa di ... commestibile. Credo anche di avere visto, per la prima volta da quando abito qui, uno scricciolo, un uccellino piccolo che fa tenerezza.

Ho letto da qualche parte che alle cincie piace molto la noce di cocco e vorrei comprarla presto.

E' già una settimana esatta che la Kitty ci ha lasciato. Sarà uno strano Natale.

Conosco delle barche


Conosco delle barche....
Conosco delle barche che restano nel porto per paura che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire hanno paura del mare a furia di invecchiare e le onde non le hanno mai portate altrove, il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po' sulle rotte dell'oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora, ogni giorno della loro vita e che non hanno paura a volte di lanciarsi fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto, ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato.

Fino al loro ultimo giorno, e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti perché hanno un cuore a misura di oceano.

Jacques Brel (1929-1978)

domenica 7 dicembre 2008

Il libro del riso e dell'oblio

La prima volta che lo lessi, vi lessi soprattutto il tradimento e da questa prospettiva fu uno dei libri (assieme a La Insostenibile Leggerezza dell'Essere) che più mi causò dolore: il dolore dei miti infranti.

Scrive Angela Migliori:
“Testimone in prima fila di quell’era in cui “il poeta regnava al fianco del carnefice”, Kundera immerge la penna nel nero della sua rabbia regalandoci la straordinarietà del suo essere artista, del suo possedere un mondo estetico unico, della sua capacità di incarnare uno degli ultimi spiriti universali, di rappresentare un maestro in grado di riannodare continuamente i fili della tradizione e di aprire, contemporaneamente, possibilità inesplorate e feconde per la scrittura.

Kundera definì “Il libro del riso e dell’oblio” un “romanzo in forma di variazioni” calamitato sul tema della “lotta dell’uomo contro il potere” che è poi “la lotta della memoria contro l’oblio”.


  • Scrivere, dunque, per sottrarsi alla terribile tendenza verso la cancellazione di ciò che è stato, di ogni più piccolo frammento del passato rinnegato allo scopo di oscurare il futuro privandolo di senso
  • Scrivere per impedire che le presunte verità decantate a gran voce dal balcone di un palazzo barocco, sovrastino l’eco ridondante della storia.
  • Scrivere la vita posando il proprio sguardo disincantato e malinconico sul mondo,rivelandone così i più assurdi ed affascinanti meccanismi.
  • Scrivere e lasciare che il lettore riconosca, di volta in volta, un po’ di sé in particolari atteggiamenti e situazioni che coinvolgono i protagonisti di questo romanzo, all’apparenza tutti profondamente distanti fra loro e, nel contempo, accomunati dall’inestinguibile desiderio di aggrapparsi al presente, con gli occhi rivolti all’indietro, decisi a farsi strada nella nebbia dei ricordi, per arrestare “la propria inesorabile caduta attraverso il vuoto spazio in cui risuona l’orribile riso degli angeli che copre col suo squillo ogni parola”. “Il passato si ostina a restare nelle prime pagine dell’esistenza di ognuno e non si lascia cancellare” plasmando così, la persona e tessendo una fitta ragnatela che imbriglia ed immobilizza anima e corpo.
  • Mirek non può eliminare Zdena dalla sua mente pur vergognandosi del lontano amore provato per una donna tanto brutta. Karel “si getta sul corpo di Eva con la sensazione che quel balzo sopra di lei sia un balzo attraverso un tempo smisurato: il balzo del bambino che giunge di slancio alla virilità”; un balzo che lo porta a descrivere ripetutamente il passaggio dal ragazzino che "guardava impotente quel gigantesco corpo di donna, all’uomo che stringe quel corpo e lo domina" Tamina lotta contro l’arrendevolezza della memoria, con il pensiero fisso alle sue lettere perdute e si tortura ricercando i tratti del marito, rievocandoli in ogni viso di uomo incrociato che diventa, di volta in volta, materiale da plasmare sotto la forza progressivamente sempre meno autentica dei ricordi, allo scopo di incontrare ancora lo sguardo del suo defunto amore. Lo studente affoga la sua lytost, “il suo stato tormentoso suscitato dallo spettacolo della propria miseria, improvvisamente scoperta”, precipitando nella dimensione senza tempo della poesia. Lasciandosi avvolgere e coinvolgere dalla sua bellezza, capace di attraversare infiniti mondi, sconvolgendo le più elementari leggi della logica e della cronologia. Jan infine si perde con lo sguardo a fissare la linea di confine che, secondo la sua ottica, divide nettamente la vita erotica di un uomo “nell’iniziale eccitazione senza il piacere propria dell’adolescenza e nel successivo piacere senza eccitazione che caratterizza, all’opposto, la maturità”.
  • Kundera, dunque, offre una galleria di personaggi tutti "(in)discretamente" sopra le righe e, appunto per questo, tutti spudoratamente reali nella loro fragilità, che finisce spesso con l’implodere nel riso.
  • Il riso sarcasticamente malvagio di chi assiste allo sconvolgimento di un ordine precostituito di cose che, private del loro senso presunto, perdono anche il posto loro assegnato nella pretesa gerarchia delle categorie.
  • Un libro dal ritmo lento ed accuratamente studiato, scritto per graffiare l’anima con l’indolente rassegnazione di una penna che testimonia la verità lottando coraggiosamente contro il potere, contro l’oblio: terribili tarli intenti a logorare il legno della nostra esistenza e della nostra consapevolezza, derubandoci dell’identità.”
“Il libro del riso e dell’oblio” di Milan Kundera Editore: Adelphi Data pubblicazione: 1998

sabato 6 dicembre 2008

Nostalgia


Nostalgia

In greco «ritorno» si dice nóstos.
Algos significa «sofferenza».
La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare.
Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (nostalgia, nostalgie), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono añoranza, i portoghesi saudade.
In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall'impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio.
Il che, in inglese, si dice homesickness. O, in tedesco, Heimweh. In olandese: heimwee. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione.
Una delle più antiche lingue europee, l'islandese, distingue i due termini: söknudur: «nostalgia» in senso lato; e heimfra: «rimpianto della propria terra». Per questa nozione i cechi, accanto alla parola «nostalgia» presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: stesk, e un verbo tutto loro; la più commovente frase d'amore ceca: styská se mi po tobe: «ho nostalgia di te»; «non posso sopportare il dolore della tua assenza».
(Milan Kundera – L’ignoranza – Edizioni Adelphi, pag. 11)

Varsavia, 1960



Varsavia, 1960. Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me.

Non dico che fosse la mia ombra.

Mi stava accanto al buio.

Non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi.E io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno.Durante il sonno la nostalgia non si è separata da me.

Non dico che fosse fame o sete o desiderio del fresco nell’afa o del caldo nel gelo.

Era qualcosa che non può giungere a sazietà.Non era gioia o tristezza non era legata alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi.

Era in me e fuori di me.Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
E del viaggio nulla mi resta se non quella nostalgia.

(Nazim Hikmet – Poesie d’amore – Oscar Mondatori)

L'impermeabile giallo

Ha un impermeabile giallo, da marinaio. Lo ha acquistato ieri in un piccolo negozio dove vendevano anche marmellate, cioccolatine, mangime per uccelli, maschere da mare, liquori dai colori velenosi.

“Mamma, guarda che bello, è del colore degli stivali di gomma, lo compriamo?”
La donna lo infila nel cestino di plastica. Si avvicinano alla cassa ed escono per tornare a casa, dopo la spesa.
Il cielo è color opale, glielo ha detto la mamma e lui non sa che cos’è un opale. Chissà perchè quella parola sconosciuta gli fa pensare ad un pianeta lontano, di qualche galassia sperduta. Un pianeta grigio e fumoso di freddo.
Il cielo non promette bene e la sera non ci sono le stelle. L’estate è finita e bisogna infilarsi il golf per uscire a passeggio.
La notte ci sono stati tuoni e lampi e lui si è svegliato felice: “Mamma andiamo sulla spiaggia bagnata? Mi metto l’impermeabile e gli stivali.”

Escono lui e la mamma nella mattina di settembre. La spiaggia è quasi deserta e il mare ha il colore del cielo, immobile, irreale dopo la tempesta.

Si allontana solo, a grandi passi sprofondando orme nella sabbia bagnata. Ogni tanto si volta per guardare la madre che lo segue con gli occhi.

“Mamma mamma vieni, il mare ha portato le conchiglie”

La madre sbuffa, ma si avvicina lentamente, stringendosi la giacca per il freddo cui non si era più abituati.

Passeggiano sulla battigia e cadenzando una danza, si piegano a turno per raccogliere sassi di vetro e conchiglie.

Incontrano un uomo, la madre lo guarda e lo saluta. L’uomo lo accarezza sulla testa e gli chiede come si chiama. Lei risponde, ma ha fretta di andarsene. Lui pensa che è infastidita dal fatto che l’uomo li ha interrotti nella loro ricerca. L’uomo gli sembra imbarazzato e si allontana.

La madre lo prende per mano, è una mano nervosa, devono tornare. Lui non capisce, ma una strana sensazione gli impedisce di insistere. Alza gli occhi e incontra quelli di sua madre, lo stesso grigio del cielo e del mare. Torneranno azzurri con il bel tempo.

“Mamma cos’hai?”
“Solo un po’ di nostalgia”.

“Che cos’è la nostalgia?”

“Quando vorresti che qualcosa tornasse e non può tornare”.

“Torneremo sulla spiaggia?”

“Non lo so, forse”.

La nostalgia ha i contorni freddi di una giornata di settembre, la quiete solitaria dopo la tempesta.

" Anteprime" di Micol Perfigli
Racconti e poesie
da: Vertici Network

venerdì 5 dicembre 2008

Giorgio Colli

Giorgio Colli ha affrontato un'impresa colossale: quella di ricostruire le origini del pensiero greco riorganizzando i testi dei poeti e dei filosofi arcaici intorno ai miti di Dioniso, di Apollo, di Orfeo...

Certamente la Grecia non è solo una pretesa, e i presocratici sono un mondo nel quale dovette trovarsi a suo agio.


Per Colli, probabilmente, nell'età contemporanea si sono persi i fili magici che legavano la conoscenza all'essenza delle cose, la ricerca per sete di verità.

In questo Colli è veramente proteso verso l'abisso insondabile della Grecia pre-classica.

E, in fondo, la verità, in quell'epoca, resta mescolata a quel complesso di relazioni tra mondo magico, misterico e religioso a tal punto da indirizzare la vita verso l'immagine, gioiosa e crudele al tempo stesso, del sapere puro.

Questo sapere, secondo Colli, per i greci, prendeva le sembianze di Dioniso, "un dio che muore"

E da questa morte, che altro non rappresenta che la trionfale comparsa della coscienza nel mondo greco, fiorisce, come Nietzsche intuisce in giovane età , e Colli ribadirà con forse più consapevolezza, l'armonia e la bellezza dell'armonia.

Apollo, secondo gli orfici, raccoglie i resti di Dioniso. In questo senso però bisogna considerare
che Apollo e Dioniso, benché per Colli si mescolino in più di un attributo, sono due divinità fondamentalmente distinte.

Se Dioniso riassume in sè la "cifra della sapienza" , Apollo è il Dio della sapienza, della parola, il dio a cui si rivolge tutta la Grecia consultando i suoi messaggi oracolari.

Si affaccia quindi l'ipotesi affascinante che Apollo sia l'avvento nella Grecia antica della conoscenza, intesa come relazione ed apertura tra sovrarazionale e razionale.




Apollo rievoca, rimanda a qualcosa d'altro, precisamente rimanda a Dioniso come in un gioco di specchi dove solo l'uomo di conoscenza riesce a trovare la via d'uscita dal labirinto.

Il messaggio terribile che ci hanno lasciato i Greci, un messaggio che Colli ha decifrato, è che la sapienza assoluta è conoscenza del corpo straziato e martoriato di Dioniso, conoscenza del furore e del sacrificio di sangue, dello smembramento che ogni istante si consuma, come un rituale eterno, della interezza del tutto.

Il tutto è separato.
Ci lascia. Si disperde.

Il tutto vede se stesso, come Dioniso nello specchio col quale gioca e si guarda nell'attimo in cui viene aggredito dai Titani, e si frantuma.

Ma lo specchio non va in frantumi. Lo specchio riflette l'immagine che ha davanti, come una maledizione.


Come l'enigma, che Apollo lancia col suo arco d'argento, riflette la verità ma non è la verità.

Dioniso occupa la città ...


Scrive Umberto Galimberti:

" Nietzsche che, a differenza di Freud, non adotta il punto di vista della coscienza che ha raggiunto la sua conquista e, dallo sguardo promosso dalla quiete, più non si sente minacciata, coglie quel mondo (greco) nell'istante della sua lacerazione e vede che quando Dioniso occupa la città e il sovrano è dilaniato dalle baccanti, si dissolvono gli ordini che gli uomini si sono dati.

Non c'è più differenza di ricchezza, di sesso, e di età.

I vecchi si uniscono ai giovani, le donne scatenate si scagliano indistintamente sugli uomini e sulle bestie.

Insieme al palazzo reale crollano le istituzioni e l'ordine culturale che custodiva valori mitici e rituali.

.....

Dioniso, "il più terribile" e "il più dolce" fra tutti gli dèi, Zeus, lo stesso che " fulmina" e lo stesso che "supplica". Edipo, ad un tempo figlio, sposo, padre, fratello di tutti gli esseri umani.

Così parla la tragedia greca e il suo racconto dice che gli dei, i semidei e gli eroi sono tra loro più simili di quanto non lasci supporre la loro apparenza esteriore.

Essi non lasciano quella distanza che la ragione umana strenuamente difende come sua luce, come suo spazio che, una volta abolito, la fa ricadere nella notte dell'indifferenziato.

Ma gli dèi sono proiezioni degli uomini e la loro mostruosità è dentro di noi.
....

Quando Dioniso lascia la città, ritorna l'ordine con le sue gerarchie, le sue interne differenziazioni, le sue pratiche rituali di mantenimento.

La violenza non è "rimossa", ma è "separata" dall'uomo: gli uomini ritornano uomini e gli dèi ritornano dèi.

Con il loro allontanamento si ripristina la differenza e l'uomo può tornare ad abitare la sua città abbandonata dalla violenza del dio."

Da "Orme del sacro" - Umberto Galimberti - Ed. Feltrinelli.

Dioniso e Apollo

Gli antichi, come le tribù primitive prima di loro e dei giorni nostri, concepivano l'esistenza come una equazione, in cui gli opposti si fondono in un'unica equivalenza e non a modo nostro, come una dialettica di concetti che si escludono tra di loro.

Apollo non era, all’inizio, il contrario di Dioniso, bensì l’altro aspetto, e questi due dei, insieme, davano espressione alla realtà esistenziale percepita dai Greci

Le pulsioni incontrollate, personificate da Dioniso, non rappresentavano un polo morale, o meglio, come si direbbe oggi, immorale, bensì erano accettate per quello che sono: una parte del proprio sé.

Era l’altra faccia della moneta di Apollo.

La scissione di un unico concetto, sintesi di questa realtà esistenziale, in due parametri divergenti fino all’antitesi, è uno sviluppo posteriore che porterà al platonismo e, infine, all’idea di bene e male del cristianesimo, che sarà il culmine di questa evoluzione.

Dioniso aveva aspetti molto diversi. In forma umana lo si rappresentava con una maschera barbuta.


Il dio era l’antitesi della bellezza apollinea dalle proporzioni plastiche perfette, e rappresentava gli eccessi, l’ebbrezza, la sfrenatezza, la perdita di controllo e l’orgiastico. Durante le feste in suo onore le Bacchanalia (Dyonisia), le donne abbandonavano le proprie famiglie, andavano sui monti vestite di pelli di fauno e gridavano “Euoi”, il grido rituale .
Danzavano alla luce di fiaccole al ritmo del flauto e del tympanon.


Mentre erano sotto l’ispirazione del dio avevano forze occulte, l’abilità d’incantare i serpenti, e forze sovrumane che permettevano loro di dilaniare animali vivi e sbranarli.

L’ebbrezza di Apollo, invece - quella di cui Nietzsche parla, non è la stessa ebbrezza di quella dionisiaca, quella bestiale che si traduce nel grido orgiastico dell’orgasmo, ma quella della contemplazione, uno stato di godimento celestiale, paradisiaco....

Il concetto di una sublimazione che canalizza le energie dionisiache distillandole e depurandole fino al raggiungimento della loro meta, questa volta verso l’esterno invece che compressa verso l’interno, era stato sintetizzato da Nietzsche nella formula “ebbrezza di Apollo”.

giovedì 4 dicembre 2008

La Rete fa paura


Siamo di nuovo alle solite, tenteranno di chiuderci la rete?

Facciamo attenzione, Levi ha ritirato la sua proposta, ma dopo di lui ce ne sono altri che proveranno, uno di questi è il nostro Presidente del Consiglio che ha già avvisato che bisogna sistemare la rete .....

Cliccate il link di sotto:

http://ammazzablog.wordpress.com/4-dicembre/

martedì 2 dicembre 2008

Dicembre e Kitty


Ma ieri, primo dicembre, la mia cagnolina mi ha lasciato dopo tredici anni di vita assieme.
Il dolore è immenso.

Kitty, mia compagna, mia piccola e grande amica, grazie per essere entrata e rimasta finché hai potuto, nella mia vita.

Dicembre


E dopo di lui veniva il gelato Dicembre,
e tuttavia coi suoi allegri festini
e falò accesi, non ricordava il freddo,
tanto la nascita del Redentore la sua mente allietava.

Una capra dalla barba ispida cavalcava, la stessa,
dicono del dio Giove bambino
e in mano reggeva una coppa larga e fonda
dalla quale beveva alla salute di tutti i suoi pari.

(Spenser)

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