venerdì 20 febbraio 2009

L'ironia e il ridere

I Greci chiamarono ironico (eiron) chi dice meno di ciò che pensa e, ad esso contrappongono il Fanfarone (alazon) che fa credere di sapere di più di quanto non sappia. Anche l’ironia di Socrate, col tempo, muta volto. Il suo gioco diventa educazione (paideia), la sua parodia acquista, con la sua morte, tutta la sua serietà, e il riso diventa la massima antitesi del vero, ciò da cui occorre difendersi. Il saggio non ride. E neppure l’uomo di religione. …Filosofia e religione si chiudono nelle loro rocche fortificate, mentre il riso riecheggia fuori dalle mura. … Gli animali non ridono, anzi il riso è una caratteristica esclusiva dell’uomo, così come la sua ricerca della verità.

Nelle “Briciole di filosofia” Kierkegaard scrive:
“Considero la vis comica come una legittimazione indispensabile per chiunque ai nostri tempi voglia essere considerato un componente autorevole nel mondo dello spirito.

Ma i docenti sono così sprovvisti di vis comica da far spavento. Lo stesso Hegel mancava completamente di senso del comico. Un’aria di posa ridicola che dà al docente una somiglianza sintomatica con un libraio di Holberg, i docenti la chiamavano serietà. Chiunque non assume questa posa da far rabbrividire, è un leggerone.”



Nietzsche invita ad ascoltare il riso di Zarathustra che non nasce da un’attesa delusa, ma dall’esperienza del tragico: “L’animale della terra che soffre di più fu quello che inventò il riso.” ….. Un riso che evita al tragico di fissarsi in disperazione risentita o in atteggiata e un po’ falsa serietà.

(Estrapolato da “Orme del sacro” di Umberto Galimberti – Feltrinelli editore)

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