giovedì 30 dicembre 2010

Essere Italiani

Esiste sicuramente una metafisica dei costumi o una civilizzazione culturale italiana, una russa, una tedesca, ecc. È all'interno di essa che i processi di socializzazione spingono gli individui ad assumere comportamenti uniformi e inconsapevoli, al di là cioè dei processi consci di self-education. È all'interno di essa che accade pertanto, parafrasando Paul Valéry, che "On est italien comme on respire"
 
È vero anche che, in Italia, abbiamo una coscienza dibattuta, quando non schizofrenica del problema.
Di solito individuiamo questa nostra tendenza nazionale, con la locuzione "all'italiana" , e ci abbiamo fatto su dei capolavori di autoironia cinematografica quelli della "Commedia all'Italiana" appunto, per poi subito smentirla con la locuzione che in fondo in fondo "tutto il mondo è Paese.
 
Quando diciamo "all'italiana" infatti  ci ritagliamo, spesso sotto l'effetto di un paragone ellittico e squalificante con le altre nazioni, la nostra identità tra di esse, intuiamo così che il nostro Paese è tutto un mondo. 
 
 Diciamo '"all'italiana'" ogni qualvolta intendiamo quel modo di operare, spesso relativo all'organizzazione dei bisogni e delle necessità collettivi, che si distingue  nettamente, per quel misto di improvvisazione, disorganizzazione, provvisorietà, disordine e pressappochismo.
Le cose 'all'italiana'  non devono comunque essere prese alla leggera.
Sono indizi preziosi: mostrano che ancora oggi come nel passato certe imprese ci riescono senza sforzo e che altre sono per noi praticamente impossibili; hanno chiaramente determinato l'andamento degli eventi trascorsi; senza alcun dubbio, determineranno il nostro avvenire. 
Forse per noi non c'è scampo.
Ed è questa sensazione di essere in trappola entro i limiti inflessibili delle tendenze nazionali a far sì che la vita italiana, sotto la sua superficie scintillante e vivace, abbia una qualità fondamentale di amarezza, disappunto, e infinita malinconia"  
Sembra che la più parte dei nostri tratti d'identità nazionale siano costituiti da "assenze", da elementi che mancano in noi ma presenti in altri Paesi.



Alberto Arbasino ha scritto un libro sull'argomento, intitolato proprio Un Paese senza
 
a) cinismo delle classi alte e del popolo. Il cinismo è da intendere come scarsità di senso morale da una parte, e dall'altra come "realismo" estremo, l'eclissarsi di ogni principio morale di fronte al proprio immediato tornaconto. Da ciò discende anche il rapporto speculare e schizofrenico degli italiani coi propri governanti, e con la politica in genere. La scarsità di senso morale porta gli italiani a non rispettare nulla e a ridere di tutto.
 
b) assenza di una classe dirigente che imponga il proprio tono e la propria "etichetta" al restante corpo sociale. Conseguente anarchia permanente del fare ciascuno a modo proprio. Scarsità di "società civile" e di "opinione pubblica".
 
c) assenza di una forte vita interiore. Rifiuto della lettura, vista come "piccola morte", prevalenza della cultura orale (sia essa televisiva o del karaoke, del canto e del melodramma, del telefonino, del Grande fratello...) sulle forme di cultura scritta (lettura della Bibbia, computer, internet, ecc). 
La vita si svolge per lo più all'aperto, donde civiltà dello spettacolo, del vestire bene e dello sfottersi reciprocamente. Conseguenza: assenza del romanzo realistico. I romanzi ci porterebbero a confrontarci con la grigia "prosa del mondo".  

e) assenza di uno Stato e della Politica come apparati regolatori degli interessi pre-costituiti. Sua sostituzione con la famiglia. Il conseguente familismo che ne discende è da intendere come una gigantesca distorsione della mobilità sociale.
 
Tutte le famiglie si coalizzano non solo contro lo Stato se si azzarda a imporre delle regole, ma contro il Mercato, visto come una bizzarria anglosassone, ossia il luogo della concorrenza e delle pari opportunità, al fine di garantire ai propri figli una migliore posizione di partenza, e di mantenerla a dispetto della competenza e delle capacità altrui. 


Se il familismo è un fatto sociale, il "familismo amorale" (individuato in Italia, dal sociologo americano Edward C.Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Bologna, 1976) che si rileva quando gli individui si comportano secondo la regola: "Massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare, supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo", è invece una nozione di carattere antropologico-culturale. 
Il familista amorale sviluppa comportamenti non community oriented, ha sfiducia verso la collettività e non è disposto a cooperare con gli altri se non in vista di un proprio tornaconto.
Il contrario del familismo amorale è la civcness, il senso civico. È familismo amorale per intenderci il non rispettare le file ecc.ecc.
 
Sotto derivazioni del familismo e del familismo amorale sono il clientelismo, il nepotismo, la raccomandazione, il corporativismo. Tutti questi ismi possono essere raccolti nella nozione di "particulare" di guicciardiniana memoria.
 
f) assenza di una religione ferma e interiorizzata.
 Prevalenza dei riti e delle cerimonie sui fatti della coscienza. Il cattolicesimo e la sua morale casistica, che distingue tra peccati mortali e veniali, che sottopone la coscienza a lavacri periodici tramite la confessione, ha reso flebile il senso morale degli italiani ed ha offerto loro favorevolissime e periodiche uscite di sicurezza. (Sismonde de Sismondi).
E d'altra parte la Chiesa Cattolica è un costrutto tipicamente italiano.
Gli italiani peraltro sono cattolici al cento per cento sì, nel senso che metà dice di esserlo e meta crede di esserlo (F.Fellini).
Gli stessi italiani che credono ai maghi e agli astrologi (35 milioni) credono nelle stigmate di Padre Pio.
 
La religione esteriorizzata soddisfa peraltro il nostro bisogno di spettacolo. Entrare in una chiesa cattolica italiana, soprattutto se barocca, è una irrinunciabile festa per gli occhi.
Noi continuiamo a sostenere che occorrerebbe in Italia una Riforma intellettuale morale pari a quella praticata dalla Riforma protestante (A.Gramsci, P.Gobetti)
g) assenza dello "star fermi". Dunque trasformismo. Voltagabbanismo politico. Anche questo tratto è da mettere in relazione con le vicende della Chiesa Cattolica e della Controriforma in particolare, ossia il passaggio lento e graduale da una posizione all'altra attraverso conciliaboli e redazioni di documenti (che resteranno per lo più lettera morta) e non attraverso i patiboli e le baionette. In Italia, si dice, non si è proceduto a nessun taglio di teste di Re. Lo stesso processo unitario è stato avviato con l'accordo di estremisti (garibaldini) e moderati (Cavour), partendo da posizioni solo apparentemente nette e inconciliabili. 
Gattopardismo, e tout change et rien ne change perenne!
 
h) "Pensiero debole" in fatto di crimine. Assenza di rigore verso il reo e disprezzo per le vittime. Tratto legato al cattolicesimo indulgente (parabola del figliol prodigo)
 In fondo gli italiani ritengono che le vittime, di qualsiasi orrendo crimine, "se la sono cercata". Per essi nessuna pietà.
L'indulgenza verso il criminale (siamo il paese del massimo dell'impunità)  e il perdono che si è pronti ad accordargli nasce da un patto segreto: "Perdonare per poi farsi perdonare, ma soprattutto per perdonarsi". 
 
i) Furbizia. È una forma di dissimulazione disonesta, un inganno permanente del pensiero, un disallineamento calcolato, ma dal respiro corto, tra pensieri, parole e atti. Secondo una vecchia opinione di H.Taine la furbizia è dovuta alla scarsa incidenza sul tessuto morale degli italiani dell'etica feudale (onore, lealtà e spirito di cavalleria) e all'abnorme prevalenza dello spirito di mercatanzia dell'Età dei Comuni. Un approccio mentale molto affine all' esprit florentin, insomma, di chi machiavellicamente, in assenza di forza fisica e morale sceglie di essere più "golpe che lione". 
 
j) Gaiezza, vitalismo, gioia di vivere. Qui occorrerebbe il sonoro. Far echeggiare certe canzoni sceme, balneari e scacciapensieri degli anni '60, ma "arrangiate" (termine così italiano) perfettamente, per comprendere quanto è sorgiva, aurorale, e infinitamente seduttiva la vecchia gaiezza italiana.

Tutti messi assieme questi tratti fanno il nostro modo di interpretare la vita e di stare al mondo, che non è forse dei peggiori, né forse fra i migliori. Nei momenti di buon umore, ossia quando non si è ricoverati in un ospedale, quando non si è in fila in uno sportello burocratico, quando non si deve espletare un concorso pubblico, quando non si è bloccati in una stazione o in un aeroporto ... riteniamo che vivere in Italia sia per certi aspetti un'esperienza più che gradevole: parlare la stessa lingua di Petrarca e di Mina, camminare per certe stradine di Montepulciano al suono dei nostri stessi passi, visitare la Porziuncola, mangiare gli spaghetti alle vongole o le lasagne fatte in casa, cantare le canzoni di Battisti o di Tenco, sono emozioni tutte nostre che vorremmo condividere con gli altri popoli, se possibile.

Ma se è bello essere italiano, un po' meno lo è farlo, per nulla subirlo.
 
 Alfio Squillaci
(Milano 20-25 aprile 2000) 

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