venerdì 18 novembre 2011

Lima Barreto



Il letterato per Lima Barreto ricopre innanzitutto un ruolo sociale, fare letteratura è resistenza, è denuncia, è uno scandaglio continuo delle ipocrisie piccolo borghesi che attanagliano la società. Il suo "scrivere militante" se da un lato lo accrediterà presso la critica, dall'altro lo porrà in perenne paragone col romanziere dei romanzieri suo predecessore Machado de Assis.


Il Brasile in cui vive e cresce Lima è un paese che pur avendo abolito la schiavitù resta fortemente schiavista nelle relazioni sociali e nei rapporti. La critica politica e sociale di Lima Barreto agisce in uno scenario politico desolante per gli spiriti come il suo che avevano sposato la causa della rivoluzione russa d’ottobre. 


La Repubblica Vecchia (1889-1930) divisa a sua volta in “Repubblica della spada” (1889-1894 presidenti militari) e Repubblica delle Oligarchie (1894-1930 presidenti provenienti dalle ricche famiglie delle oligarchie di San Paolo e Minas Gerais), rappresenta nella sua essenza tutto quanto Lima Barreto con una penna sferzante critica e attacca nei suoi racconti


Molte altre notizie su questo autore si trovano qui



ESTRATTI DAL DIARIO DI LIMA BARRETO


"1920, 4 gennaio


Sono in manicomio o, meglio, nei diversi suoi reparti, dal 25 del mese scorso. Sono stato nel padiglione osservazione, che è la tappa peggiore per chi, come me, ci entra trascinato dalla polizia. Ci tolgono i vestiti che portiamo e ce ne danno altri, appena in grado di coprire le nudità, e non ci danno né ciabatte né zoccoli. L’ultima volta che sono stato là mi hanno dato questo articolo di vestiario che mi è oggi indispensabile. Stavolta no. (…). Mi hanno dato una tazza di mate e, subito dopo, quando era ancora giorno, mi hanno buttato sopra un materasso di vegetale con una copertaccia, ben conosciuta dalla nostra povertà e miseria.
Non mi importa molto del manicomio, ma ciò che mi infastidisce è l’intromissione della polizia nella mia vita. Tra me e me, sono sicuro di non essere matto; ma a causa dell’alcol, mescolato a tutti i tipi di preoccupazioni che le difficoltà della mia vita materiale mi danno da sei anni, ogni tanto do qualche segno di pazzia: deliro.
Apparte questa prima volta in manicomio, sono stato colpito da una crisi identica, a Ouro Fino, e portato all’ospedale nel 1916; nel 1917 mi hanno ricoverato all’Ospedale Centrale dell’Esercito per la stessa ragione; ora torno in manicomio.
Sono sicuro che non ci tornerò per una terza volta; se ci esco è per andare al cimitero, che è qui vicino. Do troppo disturbo agli altri, compresi i miei parenti. Non è giusto che vada avanti così.
(…)
Sono tornato in cortile. Che cosa, Dio mio! Stavo lì come un tacchino, in mezzo a tanti altri, governato da un portoghese buono, che aveva un’aria rozza ma anche dolce e compassionevole, da contadino di Tras-os-Montes. Già mi conosceva dall’altra volta. Mi dava del tu e mi ha offerto delle sigarette. La prima volta che venni qui mi misero in isolamento e lui mi fece pulire il terrazzo, lavare i cessi dove mi fece anche un bel bagno con la sistola. Eravamo tutti nudi, con le porte aperte, e io mi sono vergognato molto. Mi sono ricordato del bagni di vapore di Dostoievski, nella Casa dei Morti. Mentre pulivo, ho pianto; ma ho pensato a Cervantes, allo stesso Dostoevskij, che hanno sofferto più di me ad Algeri e in Siberia.
Ah! La letteratura o mi uccide o mi dà ciò che le chiedo. (...)"


http://www.sagarana.net/rivista/numero19/saggio3.html

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Visualizzazioni totali