domenica 30 settembre 2012

Nino mi chiamo


“Nino mi chiamo” di Luca Paulesu per Feltrinelli Una fantabiografia nella quale si alternano graffianti vignette a brani tratti dalle lettere e dai “Quaderni”

Libro di Luca Paulesu


Questo che segue è un articolo di Benedetto Vecchi Su Il Manifesto:

Antonio Gramsci è stato, giustamente, considerato uno dei maggiori filosofi italiani del Novecento, grazie alla sua militanza comunista. Peccato che sulla sua opera sia caduto il silenzio, dopo che negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso era impossibile leggere un saggio sulla teoria politica che non facesse i conti con le sue tesi sull'egemonia, sul «partito-principe» - una lettura di Machiavelli - sugli intellettuali e il rapporto che intrattenevano con la politica nazionale. Fuori dai confini nazionali, Gramsci è stato invece usato come una cassetta degli attrezzi per quei gruppi  intellettuali, e politici, che hanno continuato a lavorare per un superamento della realtà capitalistica. 

Negli Stati Uniti, in America latina, in India, in Inghilterra le pagine dei “Quaderni dal carcere” sono state lo sfondo per i cultural studies o per le proposte di democrazia radicale - in particolare modo in Brasile e Messico - avanzate dai movimenti sociali.

L'Italia, invece, costituisce una anomalia. Ormai Gramsci è letto e studiato solo da pochi intellettuali, mentre non c'è nessuna eco - o solo qualche flebile richiamo - della sua "filologia della prassi" nei discorsi politici, con degli inquietanti paradossi, quando Gramsci viene citato ed eletto a teorico imprescindibile da una eclettica e spregiudicata destra radicale.

Fa quindi piacere leggere il volume Nino mi chiamo firmato da Luca Paulesu (Feltrinelli, pp. 285, euro 17). 
È una fantabiografia a fumetti di Antonio Gramsci, che alterna disegni, vignette a brani tratti dai suoi scritti o dalla lettere che il dirigente comunista inviava ai suoi cari. Il libro di Paulesu è programmaticamente chiaro: far avvicinare un pubblico nato tra la fine del Novecento e l'inizio di questo millennio a un intellettuale rimosso, cancellato dalla cultura nazionale

L'autore neppure dichiara la sua parentela con la famiglia Gramsci, ma i suoi disegni sono un grande omaggio e gesto d'amore per Gramsci. Il tratto è lineare, semplice; il volto di Gramsci trasuda tenerezza, ma anche una sottile tristezza. Eppure le battute delle vignette sono graffianti. 

In Nino mi chiamo c'è tutta la vita di Gramsci. Dagli studi adolescenziali all'arrivo a Torino; la scoperta della classe operaia e l'inizio dell'impegno politico, prima nel partito socialista poi nel Pci, come uno dei fondatori. C'è poco carcere, nei disegni di Paulesu. E questo è un bene. 
Compare solo in pochi disegni, ma l'autore lo fa subito evadere, quasi a ricordare che le sbarre non hanno impedito a Gramsci di scrivere pagine importante, anche quando la presa di distanza dal suo storicismo è un atto necessario per apprezzare le sue analisi sulla cultura popolare, sulla letteratura nazionale, su alcune sferzanti critiche ad autori - Tolstoj, ad esempio - che incarnavano la rinuncia alla trasformazione. Critiche che nulla tolgono all'incanto di leggere romanzi come "Anna Karenina", che torna più volte nel libro, segnalando che Gramsci era un dirigente comunista e un intellettuale che non rinunciava a riflettere anche sull'amore. 

Ci sono anche disegni che proiettano il giovane con gli occhiali cerchiati sul presente. Ce ne sono due che ritraggono il giovane Nino sommerso da un libro, mentre sul comodino campeggia come supporto a una candela accesa "I care" di Walter Veltroni.

 La frase non lascia spazio ad equivoci sulla graffiante ironia: "Uno spettro si aggira per l'Europa...... il tolstoismo".

Disegni che riconciliamo con l'opera gramsciana, letta quando si erano appena dismessi i pantaloni corti, come era costume nei "terribili anni Settanta", e poi dimenticata. 

E poi quella vignetta che ritrae Nino e la sorella Teresina, la quale chiede: "E siamo tanti noi subalterni?". La risposta esemplifica quella semplicità difficile a farsi in questo triste presente: "Una moltitudine"


Fonte: http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/argomenti/manip2n1/20120927/manip2pz/329267/?tx_maniabbonatimvc_pi2%5Bsezione%5D=CULTURA&cHash=171751187987578bf7ec058eb2586903



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